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Totò Riina: dal primo arresto a 19 anni fino alle stragi del’ 92, fotostoria del boss più sanguinario

Di Redazione |

Salvatore Riina, detto Totò ‘u curtu, 87 anni, al momento del suo arresto nel 1993 era considerato il capo dei capi di Cosa Nostra. La sua ombra si è proiettata, sinistra, sulla Sicilia, allungandosi su tutte le stragi, su tutti i delitti di livello, così come su quelli politico-mafiosi. Quest’ uomo ha comandato, gli uomini delle cosche gli hanno sempre ubbidito, tutti. Chi per devozione, chi per paura. Decine di processi raccontano le sue imprese, analizzano le sue strategie. Ha anche ispirato trame di libri e di fiction e ora si trova nel carcere di Parma.

Riina è rimasto nell’ombra per oltre 20 anni e l’ imprendibile latitanza ha rischiato persino di accostarlo alla leggenda: una leggenda sanguinaria. Fu arrestato il 15 gennaio 1993, dopo appunto oltre 20 anni di latitanza. E deve scontare varie condanne a vita per essere mandante ed esecutore di una lunga serie di delitti. Con in testa gli eccidi del 1992 di Capaci e via d’Amelio. Sarebbe anche l’autore del cosiddetto “papello”: ovvero un documento che proverebbe l’elenco di richieste per far proseguire il dialogo a distanza con lo Stato avviato tramite l’ex sindaco mafioso Vito Ciancimino nel periodo di tempo tra la strage di Capaci e la morte di Paolo Borsellino.

Salvatore Riina è nato a Corleone il 16 novembre 1930. Il padre era un agricoltore povero. E’ entrato in clandestinità 60 anni fa, prima ancora di essere sfiorato da un ordine di cattura. C’è sempre rimasto. L’ ha condivisa con la moglie, Antonietta Bagarella, e due figli. Quella dei Bagarella è una delle famiglie storiche della mafia di Corleone, ed Antonietta, maestrina di 20 anni, fu la prima donna siciliana ad essere inviata al soggiorno obbligato. Per amore preferì un’altra strada, certo più difficile: unì il suo destino a quello di Salvatore Riina, amico inseparabile sin dalla più tenera infanzia dei suoi fratelli Calogero e Leoluca.

Salvatore Riina e Ninetta Bagarella giovanissimi

La sua carriera criminale cominciò quando era molto giovane: a 19 anni fu condannato a 12 anni di carcere, pena scontata parzialmente all’Ucciardone per aver ucciso in una rissa un suo coetaneo.

La scalata di Totò Riina ai vertici di Cosa Nostra cominciò invece nel 1981 quando il corleonese decise che era giunto il momento di tirare la volata finale: la sua forza “militare” era ormai tale da consentirgli di eliminare a viso aperto tutti i capi delle famiglie che gli resistevano.

Cominciò uccidendo Stefano Bontade, Badalamenti fuggì in Brasile: fu la guerra di mafia, mille morti tra quelli rimasti sul terreno e quelli soppressi con il metodo della lupara bianca, in tre anni. Buscetta e Contorno, gli unici in grado di resistere militarmente ai corleonesi, assistettero al sistematico sterminio dei loro amici e parenti: furono 50 i funerali. Alla fine tutta la mafia tremava davanti a Totò Riina.

Falcone e Borsellino nell’ordinanza ordinanza di rinvio a giudizio del primo maxiprocesso a Cosa Nostra lo hanno definito un «boss sanguinario e privo di scrupoli». Nelle migliaia di pagine giudiziarie, che costituiscono una sorta di «summa» sulla mafia degli anni ’80, uno dei capitoli principali è dedicato proprio al boss corleonese, già allora latitante da anni.

La sua scheda processuale si apre con la denuncia del 13 luglio 1982 per associazione mafiosa, insieme con altri 161 presunti affiliati a Cosa Nostra. Riina viene descritto come «esponente di massimo rilievo della cosca mafiosa corleonese e protagonista della cosiddetta guerra di mafia». A quel rapporto, ispirato dall’allora prefetto di Palermo Carlo Alberto Dalla Chiesa, fanno seguito una sfilza di mandati di cattura e di riscontri incrociati basati in particolare sulle dichiarazioni dei «pentiti».

Il primo a parlare del boss corleonese, nel 1973, fu Leonardo Vitale, il “picciotto” della borgata di Altarello le cui rivelazioni rimasero inascoltate fino alla sua uccisione. Vitale sottolineò l’ enorme potere di cui godeva già a quel tempo Riina e disse di averlo conosciuto personalmente in una riunione alla quale partecipò anche Pippo Calò. Nell’ agosto 1978, in seguito alle “confidenze” raccolte dal boss di Riesi Giuseppe Di Cristina, anche lui poi assassinato, i carabinieri stilarono l’ennesimo rapporto a carico del capomafia: «Riina Salvatore e Provenzano Bernardo – affermò Di Cristina – soprannominati per la loro ferocia “le belve” sono gli elementi più pericolosi di cui dispone Luciano Liggio.

Salvatore Riina e Bernardo Provenzano

Una descrizione che concorda perfettamente con quella fatta dal più importante “pentito” della mafia, Tommaso Buscetta, che descrisse «la ferocia e il ruolo fondamentale di Riina nelle più torbide vicende di Cosa Nostra». Buscetta raccontò che all’inizio degli anni ’80 si era radicalizzato il contrasto esistente all’interno dell’ organizzazione tra Totò Riina e Stefano Bontade, tanto che quest’ultimo aveva confidato allo stesso Buscetta di volerlo uccidere personalmente durante una riunione della commissione».

Riina lo anticipò, facendolo assassinare con una sventagliata di kalashnikov. Fu quello il primo atto di una sanguinosa guerra di mafia conclusasi con l’eliminazione di tutti gli avversari dei “corleonesi”. Una escalation di violenza che ha portato alle stragi di mafia del 1992.

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