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Sgominata la “Gomorra” agrigentina, in carcere boss e gregari di cosa nostra

Di Fabio Russello |

L’ortodossia mafiosa, l’autodefinirsi il «fiore all’occhiello» di Cosa nostra, il cianciare di “rispetto” come fondamento dell’organizzazione criminalie e un linguaggio che sembra quasi scimmiottare quello della serie tv Gomorra. E ci sono anche dei boss liberi che si lamentano della moglie di un altro boss invece detenuto che fa la bella vita con i soldi della mafia e che non capisce che c’è crisi anche in seno all’organizzazione. C’è tutto questo ma non solo nelle carte dell’operazione antimafia Montagna messa a segno dai carabinieri che, al termine di una lunghissima indagine, hanno arrestato 58 tra padrini, gregari ed estortori dell’Agrigentino. Un’operazione imponente – che ha impegnato 400 militari, elicotteri e unità cinofile – come nell’agrigentino non se ne erano mai viste e che ha decapitano almeno due mandamenti mafiosi e che ha permesso di arrestare come ha spiegato il procuratore aggiunto della Dda di Palermo Paolo Giunta almeno quindici capi di Cosa nostra.

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ECCO CHI SONO GLI ARRESTATI

Una mafia quella agrigentina che parla un linguaggio antico che rinnova riti e organigrammi tradizionali ma che non disdegna business nuovi come quello di cercare di intercettare parte dei soldi che finanziano il settore dell’accoglienza ai migranti, come ha fatto notare il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi.

Dall’inchiesta è emerso, ad esempio che il capomafia di Cammarata Calogerino Giambrone avrebbe cercato di infilarsi nella gestione di una coop, la San Francesco di Agrigento, che si occupa di accoglienza di migranti e che si sarebbe occupato lui della gestione amministrativa relativa alle autorizzazioni comunali per regolarizzare l’immobile da destinare a centro di accoglienza, «con l’intento di ottenere, – spiegano i magistrati – quale corrispettivo dell’interessamento, l’assunzione da parte della cooperativa di persone vicine al clan e il pagamento di una somma in denaro da stabilire in percentuale sul numero degli immigrati ospitati nel centro».

E l’inchiesta dei carabinieri racconta anche le alterne vicende del mandamento della Montagna, dalla scarcerazione di Francesco Fragapane, figlio dello storico boss ergastolano Salvatore, capo di Santa Elisabetta, del suo ritorno al potere e della ricostituzione di un maxi mandamento che ricomprende tutta l’area montana dell’Agrigentino e i paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini. Ma poi Franncesco Fragapane, nuovamente arrestato, aveva nominato il suo successore, quel Giuseppe Quaranta che, però, si sarebbe rivelato non all’altezza del compito e che sarebbe stato sostituito dal cugino di Fragapane. Dinamiche vecchie che si legano ai nuovi affari e che non abbandona il vecchio “pizzo”. Dall’inchiesta emerge infatti che sono almeno 27 le estorsioni accertate a imprese, commercianti, negozi.

E nessuna delle vittime ha denunciato. Le accuse vanno dalle estorsioni all’associazione mafiosa, fino alla truffa a imprese sottoposte all’amministrazione giudiziaria e all’intestazione fittizia di beni. In manette è finito, per concorso in associazione mafiosa anche il sindacop di San Biagio Platani, Santino Sabella. Secondo l’accusa concordava le candidature alle comunali con i boss della zona e condizionava gli appalti e in una intercettazioni avverte il boss che i carabinieri hanno messo delle telecamere. E inoltre, l’inchiesta della Dda di Palermo, ha confermato che c’è un ritorno massiccio al traffico di droga in collaborazione con ndrine calabresi a cui i mafiosi agrigentini si rivolgevano per gestire l’affare.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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