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Sciacca, «Cibo scadente per l’ospedale». Condannata imprenditrice

Di Antonino Ravanà |

Sciacca (Agrigento) –  Due anni e sei mesi di reclusione sono stati inflitti ad una imprenditrice, Rocchina Pace, 46 anni, legale rappresentante di una ditta socia di un consorzio, che ha gestito i servizi di ristorazione all’ospedale “Giovanni Paolo II di Sciacca. Con la pronuncia della Corte di Cassazione, la condanna per la donna diventa definitiva.

Confermata la sentenza del giudice monocratico del Tribunale di Sciacca, Fabio Passalacqua, successivamente, nel 2015, decisa dalla Corte di Appello di Palermo.

L’imputata era chiamata a rispondere di frode in pubbliche forniture e tentata frode nell’esercizio del commercio, allorchè avrebbe utilizzato cibi di qualità inferiore rispetto agli standard previsti dal contratto di gestione del servizio al presidio ospedaliero saccense.

La vicenda risale al 2010. Riconosciuta dalla Suprema Corte la condotta fraudolenta dell’imputata, che è consistita, secondo i giudici ermellini, nell’utilizzo di prodotti meno pregiati di quelli contrattualmente previsti per la preparazione dei cibi (prosciutto crudo del “Cascinale”, anziché di “Parma” e carne di tacchino congelata anziché fresca).

E’ stata ritenuta irrilevante la circostanza che i prodotti meno pregiati fossero stati rinvenuti all’interno delle celle frigorifere della cucina dell’ospedale, rilevando il solo dato oggettivo della differente qualità dei prodotti, nonché la circostanza che l’agente di commercio della ditta fornitrice, avesse riferito dei possibili disguidi nelle consegne, non essendo stato dimostrato che l’imputata avesse ordinato i prodotti previsti dal contratto, né che i prodotti fossero stati accantonati in vista della restituzione.

La presenza di confezioni integre dei prodotti è stata ritenuta idonea ad integrare il tentativo di frode in commercio.

Da evidenziare che le ispezioni, che hanno portato alla scoperta della frode, erano state richieste dalla direzione dell’ospedale di Sciacca, in quanto erano pervenute lamentele sul vitto. In occasione del controllo era stata riscontrata anche la presenza di carne francese e non italiana, a differenza di quanto previsto nel capitolato di appalto, oltre al rinvenimento dei prodotti indicati nell’imputazione. Pace è stata condannata a pagare anche 3 mila euro di multa.

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