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Il libro

Ne “Le lunghe notti” di Domenico Trischitta si condensa il non-sense della vita

Lo scrittore catanese, in un tracciato episodico e in apparenza “frammentario”, documenta e dimostra che lo sfuggente senso (o, talvolta, non-sense) della vita spesso si disvela o si condensa in congiunture precise, in situazioni “cruciali” (e, magari, in apparenza “minimali”, trascurabili)

Di Salvatore Mugno |

«La scrittura di Trischitta mi dà una sensazione di forza, di invenzione, originalità di taglio narrativo. C’è una capacità di entrare subito nel tema e di coglierne gli aspetti più importanti che è molto rara e che per me è il segno inconfondibile di uno scrittore autentico» scrisse Giuseppe Pontiggia, che fu estimatore e, per certi versi, talent scout di Domenico Trischitta.

Le lunghe notti (Roma, Avagliano Editore, 2016) – una silloge di racconti licenziata per la stampa pochi mesi fa dallo scrittore catanese – ben posseggono, in effetti, la robustezza e la peculiarità ravvisate anche dal noto critico letterario.

Domenico Trischitta le lunghe notti

Esse si compongono di rapidi e intensi “bozzetti” in cui si raggrumano dei particolari momenti della vita dei soggetti (piuttosto che dei personaggi) narrati: quelle circostanze che segnano in modo decisivo e definitivo l’esistenza.

Più che di personaggi, infatti, si tratta di figure emblematiche, per così dire di categorie e, perciò, di tutti gli esseri umani; di coloro, in pratica, che non assurgono al rango di protagonisti di una narrazione, pur essendo, come tutti, portatori di una storia importante: il marinaio, la puttana, l’assassino, il prete, il viaggiatore, il taxista, il barista e così via.

“Notti” (ma anche “giornate”) che cambiano il destino di qualcuno e in cui la disperazione ha spesso la meglio.

Il volume è ripartito in due sezioni speculari: “Le lunghe giornate” e “Le lunghe notti”. Entrambe sono poi divise in “lotti”: destini, casualità, morte, più un racconto “riepilogativo” a chiusura.

Su questo tracciato episodico e in apparenza “frammentario” Trischitta è riuscito a intessere un’opera ben calibrata, unitaria, spesso con pagine di perfetta nitidezza, con alcuni racconti davvero esemplari: nel brio della scrittura, nell’efficacia del ritmo, negli effetti complessivi.

Molte delle figure che il lettore incontra nella prima parte della raccolta, ritornano, peraltro, viste da una nuova angolazione, nel secondo “movimento” del libro, arricchendo e moltiplicando le prospettive, i contenuti e il senso delle vicende stesse.

Trischitta documenta e dimostra che lo sfuggente senso (o, talvolta, non-sense) della vita spesso si disvela o si condensa in congiunture precise, in situazioni “cruciali” (e, magari, in apparenza “minimali”, trascurabili), che talvolta sembrano inventate, escogitate proprio dall’occhio dell’artista che, come un Dio impotente, ne prende durevole nota.

Si vedano, ad esempio, nella prima parte, “Il camionista” (testo breve, galoppante, con un finale tranchant, perfetto, improvviso), “Della puttana” (in cui riecheggiano toni da Spoon River), “Del malato terminale” (brano tra i più belli e toccanti della raccolta).

Trischitta, degno esponente della nobile tradizione letteraria catanese, è un autore che si espone, che mette in gioco se stesso. È vero e verace, insieme. Allo stesso tempo, è colloquiale, diretto e molto delicato, poetico. Mai libresco né lambiccato. In questo caso, non si tratta, comunque, di un lavoro eminentemente “siciliano”, sebbene la Sicilia faccia capolino in alcune di queste pagine.

Quest’opera di Trischitta è, insomma, come “certe notti” che lasciano il segno.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA