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Testo teatrale per la scrittrice catanese

Melania La Colla: «Un amore contrastato che puzza di zolfo»

L’11 marzo debutta in prima nazionale all’Abc di Catania "Fiori di zolfo" dramma teatrale della Novecento alla regista Francesca Ferro

Di Giovanna Caggegi |

Qualche anno fa il suo romanzo Sono nato al Sud, edito da A&B, conquistava il web grazie al book trailer realizzato dal regista Francesco Maria Attardi e diventato in poco tempo virale per le numerose visualizzazioni. Un piccolo ‘caso letterario’ – la gustosa parodia del separatismo leghista ambientata in una Catania immaginaria dove avviene l’improbabile secessione del Nord dal Sud della città etnea – segna il debutto nella narrativa della catanese Melania La Colla, musicista di professione e da sempre scrittrice al servizio di un ‘tarlo’ che la spinge a raccontare le note dissonanti della realtà dal suo osservatorio prediletto ai piedi del vulcano.

La Sicilia e la sua storia, il cinema e la memoria, l’amore in tutte le declinazioni, il dramma dell’emigrazione, sono i temi di una ispirazione letteraria che spazia tra i generi, dal romanzo alla poesia, al teatro, e che è sempre sostenuta da una forte tensione morale. «La mia scrittura nasce da un sentimento di indignazione – spiega la scrittrice -. La vita offre spunti quotidiani per arrabbiarsi, dissentire o commuoversi, e scrivere è il mio modo di elaborare le emozioni. Prediligo la forma del dialogo e anche il romanzo ha una struttura fortemente dialogica, teatrale e cinematografica. Adotto il registro comico quando c’è da fustigare, ma non escludo i toni drammatici quando la rielaborazione fa appello alla memoria e alla testimonianza. A scrivere per il teatro mi hanno incoraggiata Gilberto Idonea ed Enrico Guarneri».

Studiosa della lingua siciliana, con una esperienza di composizioni satirico-umoristiche pubblicate all’inizio del 2000 su Lei è Lario diretto da Giuliano Rotondi, tra i testi teatrali della La Colla, alcuni rappresentati al Metropolitan di Catania, la commedia La prova è giunta al settimo anno di repliche, mentre il dramma Fiori di zolfo, nell’allestimento diretto da Francesca Ferro con le musiche di Gabriele Denaro, sarà messo in scena l’11 marzo in prima assoluta al Teatro Abc di Catania, protagonisti Ileana Rigano, Aldo Toscano, Loredana Marino, Francesco Maria Attardi, Alice Ferlito, Francesca Ferro, Maurizio Nicolosi, e con Alessandra Falcì, Giovanni Maugeri, Vincenzo Ricca, Maria Rita Mirabella, Daniela Mulè.

«Fiori di zolfo – racconta l’autrice – nasce dalla visione di una pubblicazione fotografica sulla vita nelle zolfare agli inizi del Novecento nella provincia di Caltanissetta, tra Gessolungo e Trabonella. Rimasi colpita da quelle immagini che ritraevano la cruda realtà del lavoro e della sofferenza dei minatori. Mi è venuta voglia di scrivere una storia di costume che parlasse di sentimenti ma anche di lotte sociali. Ho fatto perciò un lavoro certosino di ricerca e di documentazione, prevalentemente all’Archivio di Stato di Catania, che mi ha consentito di collocare la vicenda entro precise coordinate temporali. Tra le altre cose, ho trovato molte lettere e testimonianze sulla costituzione della Lega del miglioramento delle condizioni dei zolfatari, sugli scioperi e le occupazioni delle miniere, oltre che i libri-paga relativi alle giornate di lavoro». Nella Sicilia dei primi del Novecento, Fiori di zolfo racconta di amori, di gelosie e di soprusi, mentre ricostruisce il clima di rivendicazioni sociali e di ribellione di carusi, picconieri e carriaturi, contro i gabelloti e i gerenti, spietati amministratori delle zolfare.

Tra i paesaggi riarsi dal sole e la dimensione sotterranea delle sue oscure cavità infernali, la miniera diventa il simbolo del dominio dell’uomo sull’uomo, il luogo in cui la vita si manifesta nella sua essenza primordiale di lotta per la sopravvivenza. «Ho inventato una storia che riflette le asperità del paesaggio delle miniere – precisa La Colla -. Il titolo della pièce allude ad un amore contrastato per il quale gli agognati fiori d’arancio si ricoprono di funesto zolfo. Mi interessava anche far conoscere le realtà del lavoro degli uomini e dei rituali religiosi delle donne presenti fino a metà del secolo scorso. Io credo che uno scrittore debba contribuire a tenere viva la memoria storica della propria terra». Nel solco dei grandi autori, per raccontare la vita degli zolfatari l’autrice adotta una lingua italiana dal costrutto dialettale con intarsi di parole e frasi vernacolari. «Riconosco le influenze verghiane – conferma -, mentre la struttura ritmica dei dialoghi deve molto alla mia formazione musicale».

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