Notizie Locali


SEZIONI
Catania 24°

Il libro

Daniele Zito, far finta di avere un lavoro

Con il secondo romanzo Robledo (Fazi editore) lo scrittore-ricercatore dà voce alla generazione degli “occupati” senza reddito: «Michele Robledo annota l’attività clandestina chiamata Lpl (lavoro per il lavoro), il provvisorio che diventa definitivo.La domanda è: perché si lavora senza soldi?»

Di Mariolina Lo Bello |

Robledo è uno di noi. Non sembra nemmeno un personaggio di un racconto. Esce dalle pagine del libro di Daniele Zito per vivere la sua storia nel mondo reale dove lavorare senza essere pagati è un’usanza che per molti, specie all’inizio, rappresenta il pegno da pagare per accedere al mondo del lavoro. “Robledo” (Fazi editore) è sì il titolo e il protagonista del secondo romanzo del trentenne Daniele Zito, ma potrebbe anche essere uno dei tanti giovani, appena laureati e non, che per non stare a spasso si “accontentano” di lavorare a qualsiasi salario, quando questo non è soltanto una utopia. Sì perché può pure capitare che per fare gavetta, non sia necessario ricevere uno stipendio ma che sia già una “fortuna” entrare in un’azienda, in un ufficio, in uno studio qualsiasi per fare apprendistato, in molti casi neppure pagato. Daniele Zito racconta di questi spettri, della loro caparbia determinazione, dei loro deliranti “percorsi di liberazione” e lo fa a partire dalle tracce che si sono lasciati alle spalle: notizie di cronaca, interviste, biglietti d’addio, pagine di diario che la loro organizzazione, nata per necessità, ha generato.

Daniele Zito Robledo

Di Michele Robledo, del primo che ha parlato (e forse inventato) il loro mondo, i loro volti, le loro utopie, l’autore ne ha parlato anche a Siracusa per la rassegna “Letti di Notte” dando corpo a un nuovo modo di spiegare le contraddizioni della società in cui viviamo, interrogando il lettore a ogni pagina e spiazzandolo, perché, come afferma lo stesso protagonista: «Ogni versione è ugualmente plausibile. Tutte, però, possono essere confutate, e nessuna smentita del tutto». «Michele Robledo – racconta Daniele Zito, ricercatore all’università di Catania e scrittore – è il protagonista del romanzo, o del reportage, o della fiction. E’ un quarantacinquenne, divorziato con un figlio, impegnato a raccogliere in quaderni le storie di un’emergente attività clandestina che prende il nome di “Lpl” (Lavoro per il lavoro). I membri sono tutti lavoratori non convenzionali, svincolati dalla logica del salario, della contrattazione, delle regole sistemiche. Sono persone che lavorano per il semplice gusto di lavorare e lo fanno generalmente nei luoghi maggiormente dispersivi, centri commerciali, aeroporti, grandi catene di librerie, centri congressi».

La storia raccontata da Daniele Zito sembra seguire il concetto di lavoro liquido, esattamente come Bauman lo prefigurava. Fingere di lavorare diventa altresì fingere di avere uno scopo, fingere di avere una dignità. «Io stesso – continua – sono un ricercatore che all’interno dell’università divento un numero, come tutti gli altri, con i quali mi confondo, mi mimetizzo. Mi sono chiesto anche se sono ricercatore perché sono sempre alla ricerca di un nuovo contratto, dal momento che sono in scadenza continua e in attesa di essere rinnovati. Facciamo parte della nuova generazione dei lavoratori non pagati, o pagati male, per i quali il lavoro è un’eterna gavetta e il provvisorio diventa definitivo».

Daniele Zito, nato a Siracusa, è ricercatore all’università di Catania e si occupa di informatica. Nel 2013, ha esordito con La solitudine di un riporto e “Robledo” è il suo secondo romanzo che nasce da una domanda ingenua: «Me la sono posta qualche anno fa guardando me e chi mi stava attorno. Eravamo tutti precari, cercavamo come potevamo saltare da un lavoro al successivo senza mai atterrare al suolo; negli interstizi tra un lavoro e l’altro regalavamo ore di vita a datori di lavoro ben contenti di pagare soltanto con promesse che, tra l’altro, di rado mantenevano. La domanda suonava più o meno così: perché accettiamo di lavorare senza essere pagati? Cosa ci spinge a farlo? Può sembrare una domanda semplice, quasi banale, secondo me non lo è; è tutt’altro che semplice, tutt’altro che banale. Personalmente ho passato gli ultimi tre anni tentando di indagarla. Robledo è il frutto di questo ossessivo indagare. Ho preferito optare per la costruzione di un intero mondo narrativo, con i suoi documenti, le sue leggende metropolitane, i suoi diari, i suoi biglietti d’addio. Se ci pensi è l’unico modo che conosciamo per raccontare la storia delle organizzazioni rivoluzionarie. Robledo altro non è che la storia dell’ascesa e del declino di un’organizzazione rivoluzionaria, seppure radicalmente reazionaria, che ci mette di fronte a una realtà di cui prima o poi dovremmo trovare una soluzione».

lobellomariolina.mlb@gmail.comCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA