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Il lavoro degli “angeli del soccorso”

Di Laura Mendola |

Caltanissetta – Le postazioni in centrale operativa sono tutte occupate, tre operatori la mattina, altrettanti il pomeriggio e due la sera. Siamo nell’ex ospedale Dubini di viale Luigi Monaco, da quelle telefonate di Sos – spesso confusionarie dalla tensione e dalla paura, qualche volta anche qualche scherzo poco piacevole – parte la macchina dell’emergenza, quel sistema di intervento che ha permesso adesso all’ospedale Sant’Elia di ottenere la promozione quale “hub” dell’emergenza – urgenza della sanità racchiusa tra le province di Caltanissetta, Agrigento ed Enna.

Una “promozione” per il “cuore” della nostra isola perché qui – e non sono gli unici in Sicilia – da anni ci sono gli angeli del soccorso, cioè gli operatori del 118. Davanti ai pc della centrale operativa aperta nell’ex Dubini, coordinata dal dott. Giuseppe Misuraca, ci sono giovani e professionisti che ricevono la prima telefonata, la richiesta d’aiuto dai residenti degli 85 comuni delle tre province servite da 49 ambulanze. E poi c’è I-Cala, l’elicottero-ambulanza che decolla dall’elipista del Sant’Elia per raggiungere anche gli isolotti antistanti la Sicilia.

Stiamo per percorrere è il viaggio nel sistema dell’emergenza sanitaria nelle tre province. Gli operatori, tutti in divisa gialla e nera, stanno lì davanti a quei pc e con le cuffie alle orecchie. «Centrale 118 di Caltanissetta mi dica», sembra una frase registrata, ma non è così. C’è un giovane che riceve la richiesta di soccorso. «Stia calma, mi faccia comprendere meglio il problema». Dall’altra parte del telefono lacrime e singhiozzi, mentre si sentono le urla. «Mi dia la città e l’indirizzo esatto che le invio un’ambulanza». Nel monitor i Comuni delle tre province con tanti puntini rossi, sono le ambulanze dislocate, alcune impegnate in intervento, altre libere. Così parte un’altra telefonata – questa volta agli operatori di ambulanza – per segnalare via e numero civico di chi richiede l’intervento, nello stesso tempo in base alle segnalazioni ricevute si comunica anche il codice di intervento, se si tratta di una caduta, un arresto cardiaco o altre patologie, tutto ciò in base alla comunicazione giunta alla centrale operativa e ai sintomi comunicati da chi ha digitato il numero verde.

Poi le comunicazioni radio tra l’ambulanza e la centrale dove vengono riportati gli orari di partenza, arrivo, ripartenza e destinazione al Ps (cioè al pronto soccorso) e poi l’operatività. Sembra che parlino in codice, ma dietro ogni comunicazione ci sono delle indicazioni ben precise che solo gli addetti ai lavori possono interpretare.

Non sempre è necessario l’intervento di un’ambulanza. Il 2016 è stato caratterizzato dalle manovre salva vita suggerite dai singoli operatori a coloro i quali chiedevano aiuto. In particolare interventi nei bambini che hanno rischiato di morire soffocati per un rigurgito di latte. Calma e sangue freddo. L’operatore si asciuga la fronte ed inizia a comunicare le manovre da fare trasmettendo sicurezza all’interlocutore. C’è anche questo dietro il lavoro di chi è chiamato a gestire l’emergenza, nessuna emozione deve trasparire o preoccupazione. Bisogna intervenire, nel brevissimo tempo. È questo uno dei comandamenti – che non è stato messo nero su bianco – per chi è chiamato a “salvare” la vita delle persone.

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