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Gela, l’abbandono e la grande crisi aspettando la bioraffineria

Di Maria Concetta Goldini |

E’ di ieri la notizia che il ministero dell’Ambiente ha concesso l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) per il progetto di green refinery che Eni realizzerà usando in parte vecchi impianti della lavorazione del petrolio e realizzandone di nuovi. E’ invece di pochi giorni addietro la notizia della definizione a Roma dell’area di crisi complessa di Gela. Un anno dopo il decreto di riconoscimento della crisi, salta fuori che nell’area di crisi rientrano 24 città e quattro province.

L’area di crisi complessa gelese comprende il territorio di 23 comuni appartenenti ai sistemi locali del lavoro di Gela, Niscemi, Mazzarino, San Cono, Acate, Vittoria, Caltagirone, Mirabella Imbaccari, San Michele di Ganzaria, Butera, Riesi, Caltanissetta, Delia, Marianopoli, Montedoro, San Cataldo, Santa Caterina Villarmosa, Serradifalco, Sommatino, Aidone, Barrafranca, Pietraperzia e Piazza Armerina. L’area interessata è di 3.127 km quadrati (12% del territorio regionale). La popolazione residente al 1°gennaio 2015 è pari a 417.826 abitanti (8% della popolazione regionale). E’ la più grande area di crisi complessa tra le 14 che il governo ha riconosciuto nel territorio nazionale dal 2013 al 2016.

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Per parlare di fatti e benefici fiscali bisognerà siglare un accordo di programma. L’unico dato certo al momento è che il 15 febbraio Invitalia, incaricata dal governo del progetto di riconversione dell’area di Gela lancerà ufficialmente l’avviso pubblico per la manifestazione d’interesse da parte degli investitori che vogliono insediarsi nelle aree “libere” delle Irsap di Gela e Caltanissetta.

Ma gli operai in attesa di lavoro non vedono di buon occhio questa maxi area di crisi. «Ma come, noi ci becchiamo i tumori e i vantaggi sono per mezza Sicilia?» – è la domanda più ricorrente. Il sindaco smorza la polemica. «Non è un’area sanitaria, è un’area di crisi – spiega Domenico Messinese – e la perimetrazione è stata redatta tenendo conto nel 2012, nell’era del petrolio, la provenienza di ditte e lavoratori che operavano nel sito. Sarà un vantaggio per noi perchè i fondi per infrastrutture saranno calcolati in base al numero di abitanti dell’area di crisi. La defiscalizzazione verrà concessa alle imprese che si insedieranno creando lavoro».


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Se per tanti gelesi disillusi l’area di crisi è una beffa, per il sindaco è una strada di speranza. «E’ vero la riconversione industriale – aggiunge – ha avuto un iter non veloce come dovrebbe esserlo per il dramma economico della città. Ma a Roma si sta lavorando per le bonifiche del territorio e per il progetto alternativo all’industria petrolifera. Noi vogliamo puntare sull’hub logistico ed energetico del Mediterraneo, sull’impianto del gas liquefatto e sull’innovazione tecnologica. Molti progetti vanno avanti, abbiano trovato qualche difficoltà nella burocrazia regionale ma battiamo i pugni quando necessario».

Dall’altra parte della barricata, aspettando la riconversione c’è una città incapace oggi di trovare fuori dall’Eni l’alternativa occupazionale. I negozi chiudono e le famiglie vanno via.

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