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Omicidio Raciti, vedova ispettore su semilibertà a Micale: «E’ legge, ma mi sento sconfitta»

Di Mimmo Trovato |

«Avverto il dolore della sconfitta, ma è la legge. Appena ho saputo ho sentito come un peso, una rinnovata amarezza e ingiustizia. Accetto la norma, ma non è giusto, il mio calvario continua: chi è condannato deve scontare tutta la pena».

Così, all’Ansa, Marisa Grasso, vedova dell’ispettore Filippo Raciti, sulla concessione della semilibertà a Daniele Natale Micale, uno dei due ultrà condannati per la morte del poliziotto, da parte del Tribunale di sorveglianza di Catania. Il provvedimento emesso poco prima di Natale, non è impugnabile perché sono trascorsi i termini. Daniele Natale Micale è stato condannato a 11 anni di reclusione per l’omicidio preterintenzionale dell’ispettore Raciti, morto il 2 febbraio 2007, per le ferite riportate negli scontri allo stadio Massimino durante il derby col Palermo. Otto anni sono stati inflitti allora minorenne Antonino Speziale.

Il provvedimento ha accolto la richiesta dei difensori di Micale, gli avvocati Eugenio De Luca e Matteo Bonaccorsi. Il 30enne esce di carcere al mattino per andare a lavorare in un supermercato e rientra la sera, trascorrendo la notte in prigione. I giudici hanno deciso, si legge nell’ordinanza, nell’ottica «del graduale reinserimento sociale» e hanno ritenuto sussistere i presupposti per la concessione del beneficio: Micale, scrivono, «ha scontato oltre la metà della pena, fruisce regolarmente di permessi premi e da alcuni mesi è ammesso al lavoro esterno e ha svolto anche volontariato». Non ha carichi pendenti e «le neutre informazioni di Ps fanno ritenere che non sussistano attuali collegamenti con la criminalità organizzata».

Tutto secondo legge, riconosce Marisa Grasso, ma questo «non attenua il dolore e il senso di ingiustizia» che la vedova dell’ispettore prova. «Sono entrata in un’aula di giustizia – spiega – cercando giustizia. Sono uscita da un incubo con una verità, una sentenza. Era importante: per me, la mia famiglia e per tutti i poliziotti che rischiano la vita, come ha fatto mio marito. Sono orgogliosa di lui e della sua divisa, ma oggi sento amarezza e non giustizia».

L’hanno chiamata decine di colleghi di suo marito che «amareggiati e delusi, hanno voluto condividere la loro amarezza» con lei. «Adesso – si interroga – come farò a dire a mio figlio che può incontrare per strada uno delle due persone condannate per la morte di suo padre, che è in permesso, invece di stare in carcere? Capirà che è la legge? Ma è giusta questa legge? Io – ribadisce – mi sento sconfitta».

Uno stato d’animo condiviso da Silp Cgil: «Siamo stupiti e rammaricati – dice il segretario Daniele Tissone – e le norme contro i violenti negli stadi, più volte promesse, non sono mai state approvate dal Parlamento. Speriamo lo faccia il prossimo per Filippo e per le donne e uomini in divisa che ogni settimana garantiscono la sicurezza alle manifestazioni sportive». «Chi ha ucciso un servitore dello Stato, padre di famiglia, merita forse un premio? E’ solo una vergogna», afferma Gianni Tonelli, segretario generale del Sap: «così legittimano condotte antipolizia e l’odio, sempre più imperante, nei confronti delle forze dell’ordine.

Il Coisp «assiste attonito e indignato» all’ordinanza: «la semilibertà a Micale fa rabbrividire».

Nessun provvedimento di riduzione pena è previsto per Antonino Speziale: il “fine pena” è il prossimo novembre, ma Speziale è stato condannato a un altro anno di reclusione per avere assistito a un allenamento del Catania nonostante ancora sottoposto a Daspo e nel carcere di Favignana è stato trovato in possesso di un telefonino. Adesso è detenuto a Palermo, nell’istituto penitenziario di Pagliarelli.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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