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Amarcord, i “consumatori di basole” nella via Etnea anni ‘60

Di Tony Zermo |

Io sono entrato a “La Sicilia” nel 1952, a vent’anni. Trovai allo Sport una bella cumacca e furono tempi eccezionali. Ebbi un colpo di fortuna perché il film “La dolce vita” di Fellini aveva conquistato il pubblico di tutto il mondo e il protagonista, Marcello Mastroianni, era sceso ad Augusta per girare un altro film. Andai a trovarlo e gli feci un’intervista. Piacque e l’editore Domenico Sanfilippo incontrandomi in corridoio mi disse: «Illustre amico, ma allora lei non sa scrivere solo di sport?». Così, quando ci fu la strage del Vajont, la diga che si ruppe facendo precipitare una valanga d’acqua che seppellì un intero paese, duemila morti, l’editore mi chiamè assieme a Nino Milazzo (poi diventato vicedirettore del Corriere della sera) e disse: «Andate al Vajont. Milazzo scriverà la nota politica e Zermo farà la cronaca».

Cominciò così la mia carriera da inviato perché poi vennero il terremoto del Belice, le Brigate rosse, la guerra del Golfo del 1991, le stragi di Palermo e quant’altro, questo per dire come a quei tempi era possibile trovare a Catania un lavoro interessante costruendoci sopra una famiglia e una casa. Era il tempo dell’inciminata, le palline dolci che i bambini trovavano nei contenitori di vetro delle tabaccherie.

A quell’epoca i giovani si conoscevano tutti. Io prima di cominciare a fare il giornalista bivaccavo all’Università nella facoltà di Giurisprudenza. E siccome avevo tanto tempo libero andavo a passeggiare in Via Etnea assieme a qualche amico. In sostanza facevo parte dei “consumatori di basole”, di quelli che a furia di passeggiare consumavano non solo le suole delle scarpe, ma anche le basole di lava. Eravamo in tanti i passeggiatori e ci si incontrava con piacevolezza. Uno di loro, con qualche anno in più di noi, era Alvaro Paternò dei principi di Biscari che potevi vedere quasi tutti i giorni mentre procedeva con passo lento. Un uomo molto dolce e gentile, quasi affettuoso, che si fermava sempre alla Pasticceria Svizzera dei fratelli Caviezel per assaggiare pasterelle e pizzette. Non c’erano solo principi tra i consumatori di basole, ma anche personaggi del popolo come Pippo de’ pirita, o Jachino Marletta, forzuto sollevatore di basole per scommessa. Poi andò a fare il cinema a Roma, tornò gay.

Il vero scopo dei consumatori di basole era di incontrare qualche ragazza. Non si trattava di ingravidare balconi, perché di balconi nella parte superiore di Via Etnea che va da piazza Stesicoro alla Villa non c’è quasi nessun balcone. La passeggiata era solo un inebriarsi della vista di belle ragazze e di signore di classe. Uno che si vedeva spesso era anche Nando Torrisi il bello, fratello di Pinella poi moglie di Nino Drago in seconde nozze. C’era anche Puccio Distefano detto il bello per distinguerlo da Puccio Distefano il brutto.

Stranamente i pallanotisti della Jonica, del Cus Catania e del Giglio Bianco, cioè la meglio gioventù di allora, non passeggiavano in Via Etnea, non avevano bisogno di cercare ragazze. Solo quelli del Giglio Bianco ci dovevano passare per forza in Via Etnea recandosi nella sede sociale di via Penninello. C’erano centinaia di gradini da scalare, ma i picciotti erano forti e non si abbarruavano. A proposito di basole, negli anni 70 sulla sede stradale di Via Etnea fecero una fissaria quanto una casa: furono tolte le basole e al loro posto misero cubetti di porfido. Se non ricordo male i lavori furono affidati ad una ditta trentina perché Flaminio Piccoli, presidente della Dc, era di Trento… Solo le basole dei marciapiedi erano rimaste al loro posto.

Quando pioveva forte, l’acqua che scendeva a torrente dall’Etna invadeva Via Etnea fino a Piazza Duomo facendo saltare come birilli i cubetti di porfido. A quel punto scrissi un articolo invitando l’allora sindaco Scapagnini a rimettere le basole nella sede stradale, suggerimento che il sindaco accolse. Quindi anche nella sede stradale di Via Etnea da allora ci sono le basole di lava, il che mi fa venire un pizzico d’orgoglio. A Catania poteva succedere anche questo: che il giornalista scrivesse una cosa e che il sindaco lo ascoltasse.

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