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Così “sbianchettano” le cartelle esattoriali alla mafia e ai colossi di sanità, costruzioni e rifiuti

Di Mario Barresi |

Di tutto un po’. Cosa hanno in comune queste imprese con uomini, storie e fatturati così diversi? Formalmente soltanto un elemento: risultano tutte “decadute” dal beneficio di rateizzazione del debito con l’Erario. Con singole esposizioni da 8,4 milioni in giù. In tutto: oltre 1.900 contribuenti siciliani con cartelle per circa 680 milioni.

Sarebbe soltanto un elenco di debitori che non riescono a pagare. Per impossibilità oggettiva. O magari per incapacità di chi questi debiti deve riscuoterli. Ovvero: Riscossione Sicilia, che – per citare i dati di recente forniti dal sottosegretario Davide Faraone nell’ennesima richiesta di rottamazione – «costa 55 milioni di euro l’anno per la sua esistenza, a fronte di un recupero di quasi 500 milioni sui 5,5 miliardi di crediti gestiti»; anche se l’azienda stima 780 milioni a fine 2016, al netto delle istanze di condono, con «un aumento di performance da record rispetto a Equitalia in qualsiasi altra regione».

Sarebbe soltanto l’ennesima inefficienza sicula, se non ci fosse un nesso di causa-effetto riscontrato proprio dall’amministratore unico Antonio Fiumefreddo. Che oggi incontrerà il primo dei prefetti isolani ai quali vuole «riferire e documentare i fatti»: quello di Catania, Maria Guia Federico. Fiumefreddo, oltre all’apertura di un’inchiesta interna a Riscossione Sicilia (già emersi «risultati gravissimi») ha disposto la trasmissione degli atti alle Procure siciliane, per indagare su un «sistema criminale».

Un elenco esplosivo. Anzi: nove. Che La Sicilia ha avuto modo di consultare, decidendo di non svelare le identità fin quando gli atti non saranno sul tavolo dei magistrati. Un’altra Fiumefreddo’s List? Lui non è nuovo a denunce-shock. Ed è proprio «per caso», nel corso di un monitoraggio sull’ormai famigerata lista dei deputati regionali messi in mora dall’esattoria siciliana, che ha scoperto le «anomalie». Protagonista involontario è un «volenteroso dipendente dell’agenzia di Catania, molto in gamba con i sistemi informatici», al quale Fiumefreddo, con il sostegno del direttore etneo ad interim Gaetano Romano, in estate chiese di elaborare un software per l’aggiornamento in tempo reale delle rateizzazioni in corso, «pur scoprendo nella circostanza che in azienda c’era già un programma inspiegabilmente mai utilizzato».

E così il giovane esattore smanettone ha scoperchiato ciò che l’amministratore definisce così: «Un sistema collaudato, per cui migliaia di contribuenti venivano collocati in posizione di rateizzazione anziché dichiarare la decadenza dal beneficio, con la conseguenza che a decine e decine di imprese si è consentito di esibire un Durc regolare, partecipando a gare d’appalto, ovvero nella sanità godendo di provvidenze indebite, ma soprattutto inquinando il mercato dei pubblici appalti e della libera concorrenza». Con una sorpresa nella sorpresa: «È inquietante osservare – afferma – come vi siano tra i beneficiari della condotta illecita alcune imprese interessate da indagini per fatti di mafia». Molte coincidono con quelle già censite dall’ufficio Grandi morosi: soggetti «a Catania riconducibili alla famiglia mafiosa di Cosa Nostra Santapaola-Ercolano, così come a Palermo diverse aziende sono collegabili alle famiglie più famigerate», con una situazione che «diviene davvero incredibile» Trapani, dove «molti soggetti sono noti alle cronache per essere sospettati di fungere da prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro». Nell’Agrigentino c’è pure un “nullatenente”, poi ucciso dopo essere stato «sospettato di avere detenuto beni miliardari, in lire, per conto della ‘ndrangheta».

Il sistema, inoltre, si regge «sulla complicità di colletti bianchi che operano nelle istituzioni, anche quelle fiscali ed esattoriali». Fiumefreddo vuole verificare le responsabilità dei suoi uffici, anche perché è ipotizzabile un danno erariale pari al mancato aggio sulle cartelle: su 680 milioni, circa 47,6 di mancati introiti per la società. Da fonti interne si apprende che non tutti i circa 2mila contribuenti inseriti in queste liste potrebbero essere di fatto “decaduti”. Chi, ad esempio, salda una rata con bonifico bancario anziché con un bollettino “Mav”, non viene subito censito dal sistema Cad di Riscossione Sicilia, poiché il caricamento dei dati in questo caso avviene manualmente, con una media di ritardi di 3-4 mesi nell’aggiornamento della situazione reale. Ma è chiaro che la mole – e soprattutto la particolare tipologia – dei soggetti graziati non può essere spiegabile così, anche perché la “riabilitazione” dei debitori spesso risale a diversi anni fa. Altra anomalia in corso di verifica: in molti casi risulta pagata la rata relativa al mese precedente rispetto ai «controlli massivi». Una strana coincidenza.

Dal dossier emerge che spesso gli imprenditori destinatari dello “sbianchettamento” non hanno rapporti diretti con gli sportelli di Riscossione Sicilia. Piuttosto, spulciando le istanze, ricorrono con una certa frequenza gli stessi nomi. Professionisti e consulenti di grido. Alcuni dei quali noti alle cronache: a Palermo per alcuni rivoli del “sistema Saguto”; a Catania per più di un’inchiesta su bilanci truccati, truffe e veleni camerali. Un’altra coincidenza?

Per intenderci: Fiumefreddo, oggi più che mai, siede su una poltrona che scotta. Finora inascoltato, da parte di Rosario Crocetta, il suo appello a «cancellare l’aggio in Sicilia, trasferendo competenze e personale di Riscossione al dipartimento Economia». Marco Falcone, capogruppo di Forza Italia all’Ars, ha già presentato un emendamento all’assestamento di bilancio, che prevede la messa in liquidazione della partecipata regionale. Sull’argomento tace, ormai da mesi, l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei. Come un dead man walking, Fiumefreddo lancia la sua ultima sfida sulla “lavanderia” delle cartelle a rate: «La politica non può non interrogarsi su un sistema così perverso e infiltrato, dove gli imprenditori onesti pagano col tracollo finanziario e quelli disonesti, o peggio criminali, raggirano le leggi». Ma sono in molti, a Palermo, a pensare che questo sia davvero il canto del cigno.

Twitter: @MarioBarresi

(PUBBLICATO SU LA SICILIA, A PAGINA 5, DEL 24 NOVEMBRE 2016)

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