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Ostacoli, scale e tanta inciviltà: Catania non è una città per disabili

Di Luigi Pulvirenti |

CATANIA – Cosa accadrebbe se, d’improvviso, il nostro punto di vista dovesse ribaltarsi? Se ci trovassimo a vivere una esperienza in cui tutti i nostri riferimenti, improvvisamente, si rovesciassero? Se il nostro modo stesso di vivere potesse, guardandosi dentro uno specchio, vedersi in maniera diversa? Il fatto è che non siamo pronti ad una situazione così tremendamente autentica perché vestire i panni degli altri non è una esperienza facile; ancora meno se si tratta di altri ai quali viene complicato compiere i gesti di una quotidianità solo apparentemente uguale alla nostra.

Eppure l’immedesimazione è l’unico processo che consente la comprensione di una realtà, quella vissuta ogni giorno dal disabile, in una Catania che spesso non è a misura di disabile che può trovarsi ad attraversare una strada in corrispondenza delle strisce pedonali, recarsi in un ufficio pubblico o aperto al pubblico, salire sopra un marciapiede, provare a parcheggiare l’auto negli stalli dedicati. La sensazione è quella di doversi districare dentro un campo minato di barriere architettoniche, non siamo lontani.

Frutto tanto di deficienze strutturali non sanate (con la complessità, che non sfugge, di doverlo fare in una grande città, ricordando doverosamente gli esempi positivi già realizzati) che di mancanza di educazione e di senso civico. Perché se per i marciapiedi senza le scivole a norma, per le strisce pedonali che si concludono su uno spartitraffico, per i percorsi tattili (Loges) per non vedenti incompleti o difformi e per gli uffici sprovvisti di rampe d’accesso si può individuare una responsabilità amministrativa, per le macchine posteggiate sugli stalli per invalidi, sulle strisce pedonali o occludendo l’accesso ai disabili, la responsabilità di chi è se non della maleducazione degli automobilisti?

Con questo viaggio per immagini di una Catania non a misura di disabile (con le dovute eccezioni) vogliamo provare a capire cosa significa stare, anche solo il tempo della lettura di un articolo di giornale, nei panni degli altri. Così vicini a noi che, a volte, non ci accorgiamo di loro. Ma anche a immaginare come cambierebbe la nostra qualità della vita se solo si ponessero in essere interventi spesso realizzabili, insieme a una misura normale di senso civico. La nota positiva è che c’è già chi si è attivato non solo per immaginarsela diversa, ma per provare a cambiare lo stato dei fatti. E noi vogliamo raccontarvi la loro esperienza.

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