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Le intercettazioni choc contro i migranti minori: «Lurdi e schifosi, cacciateli a calci in culo»

Di Mario Barresi |

Catania. Non soltanto «zingari» e «porci», come rivelato in conferenza stampa dal procuratore Carmelo Zuccaro parlando delle «intercettazioni sconvolgenti». Sono anche altri gli epiteti riservati ai migranti minori ospiti delle comunità: da «bastardi» a «pezzi di merda», da «pezzi di cessi» a «lurdi e schifosi», fino al classico «niuri».

Eppure, nelle carte dell’inchiesta “Camaleonte” – con 10 indagati a vario titolo per corruzione, maltrattamenti su minori e falso in atto pubblico – c’è molto più che la sprezzante ferocia verbale. Un sistema di corruzione e di complicità del business dell’accoglienza, all’interno di quello che il gip di Catania, Daniela Monaco Crea, definisce «un quadro complessivo assolutamente negativo delle condizioni strutturali delle comunità e dei servizi da esse offerti e garantiti». Con l’aggravante per i tre indagati sottoposti a misura cautelare (ai domiciliari Giovanni Pellizzeri, 56 anni, dipendente dell’Asp, già candidato sindaco alle ultime amministrative di Mascali e il figlio Mario Pellizzeri, 29 anni; divieto di dimora in provincia di Catania per Isabella Vitale, 48 anni, braccio destro dell’imprenditore) delle «modalità di approccio» nei confronti di «quei poveri soggetti, minori non accompagnati, trattati come animali, disprezzati e umiliati». Un «sentimento di disprezzo e odio», è la conclusione dell’ordinanza, nei confronti dei piccoli ospiti «trattati non già come persone bisognose di cure e affetto ma come utili strumenti di guadagno».

«Prendeteli a calci in culo»

Nell’informativa dei carabinieri di Giarre, nella quale il gip ritiene ci sia una «imponente massa di elementi probatori» si ricostruisce come i 196 minori (94 nelle comunità gestite dalla cooperativa “Esperanza” e 102 in quelle riconducibili alla “Ambiente e Benessere”) venivano maltrattati.

Ai «porci e zingari», gli indagati «lesinavano anche i medicinali», scrive il gip. In un’intercettazione il concetto è chiaro: «I farmaci generici sì! Ma no questi qua! Assolutamente no! Per me può buttare sangue…». Nelle indagini alcune testimonianze-chiave. Tutte da parte di donne. Olivia Bartolotta, assistente sociale del Comune di Mascali, nella testimonianza del 3 ottobre 2014, sostiene che i giovani ospiti della comunità “Mazzaglia” «erano trattati come animali». Fra «presenza di fili elettrici scoperti» e «mancanza assoluta di igiene». Anche Alessandra Turrisi, consulente di Save The Children, è chiara: nei sopralluoghi del novembre 2013 «la struttura appariva precaria e trascurata». Denunciando, tra l’altro, «i segni di lesioni sui minori ospiti, alcuni dei quali raccontavano di essere stati picchiati da operatori della struttura». E infine, nel febbraio 2015, l’ispezione di Maria Rosa Tomarchio, assistente sociale del Comune di Sant’Alfio, certifica «la presenza di spazzatura in casa, lenzuola fetide, (…) l’abbigliamento offerto ai minori non idoneo alle rigide temperature».

Mario e Giovanni Pellizzeri, consapevoli della situazione, provano a «procurarsi presso la Caritas giubbotti e coperte». Ma sulla sporcizia è una missione impossibile. «Se viene qua lei cade malato», confessa un dipendente a Pellizzeri, riferendosi alle due comunità di Giarre (Casa delle Fanciulle e Futuria) «sporchissime», con mobili rotti e corridoi scrostati. «È peggio di dove ho l’officina io», sintetizza l’interlocutore.

Gli ospiti, più volte protagonisti di risse («non controllate e non denunciate», annota il gip) tentano anche di ribellarsi. Ma Vitale, responsabile della Casa delle Fanciulle, riferisce al dipendente Nino Ferrara che «quelle erano comunità per minori italiani e che quindi loro potevano essere cacciati via in qualunque momento a calci in culo».

«Quelle cosine sul conto»

Buona parte delle 190 pagine dell’ordinanza sono dedicate ad altri capi d’imputazione. Per corruzione (in atto contrario ai doveri d’ufficio e come persona incaricata di pubblico servizio) è indagata Rita Brischetto, ripostese, funzionaria della direzione Famiglia e Politiche sociali del Comune di Catania. La dipendente «indicava alla Questura», in occasione degli sbarchi, le comunità dei Pellizzeri «per la collocazione dei minori stranieri non accompagnati nonostante le stesse fossero prive di autorizzazioni ed in condizioni fatiscenti». E perciò, scrive il gip, «riceveva il pagamento di somme di denaro».

A testimonianza dei «rapporti palesemente preferenziali» con i Pellizzeri (che rispondono anche di corruzione di pubblico ufficiale) il gip cita alcuni elementi. Fra i quali l’allarme dopo che i media televisivi e online lanciano sospetti sulle comunità alloggio. Il 14 marzo 2015 Bischetto viene intercettata in un colloquio con Pellizzeri senior. «A sua sorella ho chiesto di rinviarmi le autorizzazioni con la richiesta del definitivo», dice al capo delle coop. Perché «bisogna che ci purifichiamo e ci leviamo un po’ di fango, ah».

Tracciate alcune anomalie anche dopo gli sbarchi del 6 e del 13 aprile 2015, «in palese violazione delle procedure». Una condotta che induce Brischetto a «informarsi con Alfina Sapienza, funzionaria prefettizia che gestiva quello sbarco». L’intercettazione è del 7 aprile 2015.B: mi hai citato nei verbali di affidamento?S: sì, certo ovvioB: ohhhhh, mio Dio! (esclamazione di disperazione, ndr)S: io da te ho avuto disposizioni, a chi dovevo mettere, non è che ho avuto (inc)… Prefettura!B: giusto, allora li puoi aggiustare mettendo “per disposizione prefettizia”?S: perfetto, io lo aggiungoB: ti amo!

Ma le cose cominciano a precipitare. Save The Children, la Procura dei minori, la polizia giudiziaria. «Dobbiamo trovare un punto in cui ne usciamo tutti il meno dolorosamente possibile». La funzionaria del Comune di Catania, nel suo ufficio, esorta Mario Pellizzeri con queste parole, raccolte dalle cimici il 22 aprile 2015: «Ora dovremmo essere cauti e attenti per portare la barca (…) in un porto sicuro, dove non ci bagniamo nessuno… dobbiamo essere furbi, ah».

E poi lo sblocco dei pagamenti alle cooperative. Il 14 aprile 2015 Mario Pellizzeri e il padre Giovanni fanno il punto della situazione.M: la dottoressa Brischetto dice che pagamenti imminenti non ce ne sarannoG: minchia, bene stiamo (…) era tranqui… era seccata? No! O sì?M: dispiaciuta (…) perché soldi non ne sono arrivati ancoraG: perché non ci pagano?M: e perché non ne prende nemmeno lei

La funzionaria si mobilita. Telefonate in Prefettura e lamentele con i colleghi del Comune.

Poi la svolta. «Signor Pellizzeri, buona giornata. Innanzitutto una cosa: quelle cosine se l’è trovate sul conto?», chiede l’indagata al telefono. A fine giugno, scrive il gip, «la Brischetto continuava in modo frenetico a preoccuparsi di sapere se i Pellizzeri avessero ricevuto gli accrediti dovuti e, ottenuta risposta affermativa, lasciava intendere che ora dovevano essere loro ad adempiere gli impegni assunti».Alla fine i soldi arrivano: 215.125 euro per l’accoglienza nel primo semestre 2014. E Brischetto ricorda a Pellizzeri «l’impegno che si è assunto il Comune».

Un «accordo illecito ben definito, rodato e collaudato», per il gip. Che cita l’informativa dei carabinieri su un episodio del 15 marzo 2015. I Pellizzeri «immediatamente dopo avere ottenuto dalla Brischetto indicazione dell’avvenuto pagamento di un loro credito» (di 38mila euro), «effettuavano prelievi per un ammontare di 4.900 euro e il giorno successivo si recavano negli uffici della Brischetto portando con loro una busta e – si legge nell’ordinanza – manifestando, contrariamente ad altre occasioni, molta circospezione nel fare ingresso negli uffici comunali». Prima entra Mario e poi, dopo una telefonata del figlio, anche Giovanni Pellizzeri.

Le altre complicità nei Palazzi

Pellizzeri senior è indagato anche per falso ideologico. In concorso con Domenico Neglia e Maria Grazia Cinzia Emmi, rispettivamente capo e dipendente dell’Ufficio tecnico del Comune di Sant’Alfio. Si contesta la «falsa attestazione», in un parere del 29 dicembre 2015, che «all’esito di un sopralluogo mai avvenuto», la comunità “Paoli” fosse «adeguata allo standard regionale ed alla vigente normativa di sicurezza dell’edificio e degli impianti». Eppure, ricorda il gip, «la struttura presentava carenze gravissime». Il falso induceva Felicia Guastella, dell’assessorato regionale alle Politiche sociali, ad autorizzare la comunità «all’esercizio dell’attività di assistenza». Il parere è redatto da Emmi, che non lo firma («condotta di cui si vantava con una collega e che riteneva l’avesse salvata da guai seri»). A firmare è Neglia, che – sentito dai carabinieri – ammette di averlo fatto «senza aver eseguito alcun accesso ai luoghi, confidando che l’avesse fatto la sua collega Emmi». Per la dipendente comunale la Procura ha chiesto al gip una misura interdittiva.

Un ultimo passaggio, molto sfumato nell’ordinanza, riguarda ancora i due Pellizzeri. In concorso con Giuseppe Ioghà, appuntato scelto dei carabinieri in servizio nella stazione di Fiumefreddo. Il quale, violando l’ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, «rivelava a Pellizzeri Mario e Giovanni notizie, acquisite dal sistema informatico denominato Sdi (Sistema di Indagine), relative alla presenza di segnalazioni loro riferite all’interno della banca dati».

Twitter: @MarioBarresi

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