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E il fornaio di Milano semina il grano antico col contadino catanese grazie al “patto di filiera”

Di Carmen Greco |

Longoni, Grasso e dell’Oglio si sono così dati appuntamento per la semina del campo di contrada Uzzardella (280 metri sul livello del mare in territorio di Castel di Judica) con i chicchi di Maiorca, un grano tenero dal quale Longoni ricaverà la farina base per il suo pane. Ai suoi clienti offrirà non solo il sapore di quel pane, ma racconterà anche dei chicchi biologici di Maiorca nati nel campo coltivato da Giuseppe, della farina ottenuta con la molitura a pietra nel mulino di Filippo Drago, dell’assenza di pesticidi e chimica in quella forma di pane.

«Ho cercato di immaginare come sarà la Sicilia tra 10 anni – spiega Bonetta dell’Oglio. L’obiettivo è dare importanza e dignità all’agricoltura e agli agricoltori che oggi sono sempre l’anello debole della filiera. Nessuno pensa più al fatto che tutto quello che arriva sulle nostre tavole arriva dalla terra o dal mare, se parliamo di pesce. Nessuno pensa che quel pane ha dietro una storia, un agricoltore, un campo, un mugnaio. Invece bisogna dargli importanza e questo tantopiù oggi, con il Ceta (il nuovo accordo commerciale tra Ue e Canada) che abbatte i controlli sulle esportazioni, a partire dal grano con il glifosato, un veleno che fa male alla salute, come ormai accertato. Nessuno ha pensato di preservare l’Italie e men che meno la Sicilia. Questo primo “patto di filiera” è un punto di partenza, vogliamo che tutti ci copino, che questa storia venga replicata, che ogni panificatore vada a cercare il suo agricoltore di riferimento per stringergli la mano».

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«Con questo patto – conferma Giuseppe Grasso – ci divideremo rischi e le responsabilità sin dal momento della semina. Agricoltore, molitore e trasformatore costituiscono una catena forte fatta solo da queste tre maglie, senza commercianti in mezzo. La “tracciabilità” per noi non sarà un numerino stampato sulla confezione di pasta, qui quello che vogliamo comunicare è che quel pane con cui si è fatto quel grano, viene da questo terreno, da questa zona. E’ un “patto di fiducia” che preveda anche “prezzo pulito”, per non creare nel consumatore finale alcuna idea speculativa».

L’obiettivo principale del “patto di filiera” è contribuire al cambiamento di un sistema economico alimentare basato sull’iper produzione, il cui l’unico scopo è quello di fare tantissimo cibo, di bassa qualità e a bassissimo prezzo. Si punta a creare i “sommelier del grano” visto che ogni varietà di grano antico ha un suo colore, un suo profumo, delle sue caratteristiche, esattamente come i vitigni nell’enologia.

«Per tanti anni – ricorda Longoni – ho visto mio padre che comprava le farine dai cataloghi dei mulini nei quali venivano indicate le caratteristiche tecnologiche delle farine. Questi test sui grani antichi sono inutili perché il grano antico non è adatto per fare qualsiasi tipo di pane, ma solamente i pani di casa, pani “pesanti” che durano di più. Si tratta di un altro tipo di panificazione che, non per questo, deve essere “naif”. Un pane così, costa 7 euro al chilo, ma se consideriamo che uno mangia mediamente 150 gr. di pane al giorno, ci rendiamo contro che spenderebbe di più per i tre caffè quotidiani al bar. E’ un fatto culturale. Questo grano ha una resa che è la metà del grano moderno. Se un grano moderno ha una resa di 35 quintali per ettaro, un grano antico ne fa 20. La crisi del metanolo negli Anni Ottanta è stato lo spartiacque per la produzione del vino in Italia che, da allora, ha fatto una scelta di qualità, la stessa cosa potrebbe arrivare “grazie” alla crisi del grano con il glifosato. Conoscere da dove viene il grano, il campo in cui è cresciuto, addirittura l’agricoltore e il molitore è una garanzia di tracciabilità importante. Il mio cliente, a Milano, saprà che è stato coltivato da Giuseppe Grasso in un posto incontaminato, ad alta quota. Tutte cose che vanno ad aggiungere valore narrativo al prodotto».

Twitter: @carmengreco612

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