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Quel fischio che “sveglia” il territorio

Di Carmen Greco |

Piedimonte Etneo. Basta il restyling della stazione ferroviaria di Piedimonte etneo a far capire come il “Treno dei vini dell’Etna” abbia un po’ dato la sveglia a tutto il territorio. Le pareti ridipinte di “rosso ferrovia”, le vecchie panchine in legno della sala d’attesa restaurate, le gigantografie con la “Circum” che corre sulla neve. Un piccolo miracolo che – si spera – possa moltiplicarsi anche alle altre piccole stazioni della Fce in pessimo stato.

Sabato scorso, l’ultimo Treno del vino ha chiuso la stagione (i viaggi riprenderanno in primavera) scarrozzando un gruppo di enoturisti da Piedimonte a Randazzo.

E si può dire che, alla prova del suo secondo anno di vita, il “Treno dei vini dell’Etna” nato dalla collaborazione tra Fce, Strada del vino dell’Etna e Gal Terre dell’Etna dell’Alcantara, abbia vinto la sua sfida. Lo dimostrano Pippo e Filippa, due nonni di Viagrande che, alla “gita”, hanno portato figli, nipotini e consuoceri. «Ci piace stare insieme – dice la signora mentre spinge il passeggino – e poi mio nipotino è innamorato dei treni per cui abbiamo voluto fare un omaggio anche a lui». «Abbiamo fatto altre volte gite nelle cantine dell’Etna con la nostra auto – aggiunge Antonino che il vino se lo fa in casa – ma stavolta abbiamo voluto provare questa esperienza».

Un’esperienza che non significa solo guardare il paesaggio dell’Etna da un finestrino, ma continuare il viaggio su un bus turistico, raggiungere le cantine, trovare enologi e agronomi pronti a rispondere alle domande, degustare i vini, passeggiare per il centro storico di uno dei paesi coinvolti nell’itinerario.

Sembra semplice, ma coordinare tutto questo è stato un vero capolavoro di “equilibrismo”. Ne sa qualcosa Valeria Càrastro, la direttrice della Strada del vino e dei Sapori dell’Etna, “cicerona” sul Treno dei vini, che ha speso tempo, passione e tutti i sabato degli ultimi otto mesi della sua vita, per tessere le fila di una rete non solo logistica, ma anche “emozionale”.

La vettura Fce con il logo del Treno dei vini dell’Etna

«L’idea originaria del treno dei vini era quella di lasciare il turista libero di muoversi in autonomia dove avesse voluto – ricorda Valeria Càrastro -, libero di prendere il treno, scendere e trovare un autobus che, ogni due ore, avrebbe potuto consentirgli di gira per le cantine. Avevamo iniziato con questa pretesa, poi, strada facendo, ci siamo resi conto che il territorio non è ancora pronto e che più che una partenza, quest’idea potrà essere un obiettivo che ci auguriamo di raggiungere. Intanto in questi due anni abbiamo messo a dimora un seme in questa direzione».

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Il bilancio del 2017 per il “Treno del vino dell’Etna” è di 550 biglietti staccati, più italiani che stranieri (35%) soprattutto molti siciliani che scoprono l’Etna, moltissimi provenienti da Messina, Palermo, Agrigento. «C’è un interesse alla riscoperta della Sicilia e questa – aggiunge Càrastro – e per me è una grande soddisfazione. L’idea, adesso, è di incentivare questi percorsi e fare più giornate durante la settimana, è quello cui lavoreremo come Strada del vino per la stagione 2018. Abbiamo un nuovo cda che, in accordo con Fce e Gal, vuole investire in questo progetto, ci saranno sicuramente delle novità. Sappiamo di avere senz’altro dei margini di miglioramento, perché il Treno dei Vini dell’Etna è ancora poco conosciuto. Noi stessi non abbiamo voluto divulgarlo troppo in questi due anni, abbiamo preferito consolidarlo e raccogliere un po’ di feedback che sono stati positivi. Adesso siamo abbastanza pronti a dare un peso diverso a questa esperienza».

Un’intuizione che ha funzionato, è stata sicuramente quella di non creare un treno ad hoc per i turisti, tutto paludato con depliant, hostess, e trattamenti “speciali” per gli eno-passeggeri, ma di far vivere loro – in linea con la filosofia del momento – l’esperienza di condividere il viaggio con chi quotidianamente utilizza la Circumetnea per lavorare e studiare. E questo, se da un lato risponde al desiderio di “autenticità” del viaggio (incontri le studentesse tedesche che lavorano la maglia o il raccoglitore di verdure selvatiche che si carica il “bottino” di cicoria sulle spalle) dall’altro espone i viaggiatori a tutte le difficoltà di un servizio sull’orlo della precarietà. Un esempio, la stazione di Passopisciaro, con una sala d’attesa al buio e i muri scrostati. Ma tant’è. Per questo si conta sulla piccola “rivoluzione” innescata dal Treno dei vini che ha già fatto il miracolo a Piedimonte.

Per il resto al “personale viaggiante” (si chiama ancora così?), della Circumetnea l’entusiamo non manca e, anzi, nei giorni in cui il treno ospita i winelover si trasforma in “orgoglio”. «Le posso fare una confidenza? Li vede questi bulloni? Li ho messi io, uno per uno – indica il capotreno Carmelo Santoro, di Linguaglossa -. Io sono figlio d’arte, mio padre era caposquadra alle manutenzioni e, per un periodo, ho lavorato come fabbro in officina, per cui questo treno lo conosco come le mie tasche. Su questa tratta, poi, ci sono nato e, per me, oltre ad essere un lavoro, è anche una passione. Non posso stare lontano dall’Etna e soprattutto da questo percorso da Riposto ad Adrano, secondo me il più bello. Passiamo tra vigneti, uliveti, noccioleti, pistacchieti, l’Etna ha mille colori e io li conosco tutti». Rosario Di Bella è il macchinista del treno, un’automotrice della fine degli Anni Sessanta (regolarmente in esercizio per i passeggeri Fce), ristrutturata dalle maestranze. «Faccio questa tratta una volta la settimana – dice – e la amo particolarmente perché io abito a Linguaglossa e poi è la tratta che per cinque anni mi ha accompagnato a scuola, a Giarre, per cui ogni volta che la percorro rimembro il mio passato, la mia giovinezza».

La direttrice della Strada del vino e dei sapori dell’Etna, Valeria Càrastro sul bus di Around Etna

Un problema – tra i tanti – è, sicuramente, quello della domenica, giorno in cui il servizio non funziona. Una questione antica che “taglia” le gambe ad un’ipotetica domanda turistica proprio in un giorno canonico per le “gite”. «Fce è consapevole di questo – assicura Càrastro – e quello di aprire la domenica è un obiettivo che si pone. Il punto è vedere quali “numeri” possa generare un servizio in più, per questo abbiamo voluto prendere un po’ le misure con il riscontro sul Treno dei vini. Dare un giorno in più di servizio costa, e bisogna capire se è un costo che si riesce a coprire. Per Fce c’è la volontà, stiamo osservando che direzione prende la richiesta e se riusciamo araggiungere certi numeri. Del resto questo tratta è stata per un periodo a rischio, c’era poca utenza, avrebbe anche potuto andare incontro alla chiusura, da un certo punto di vista il Treno dei vini le ha dato un po’ di supporto e siamo contenti se potrà contribuire a scongiurare l’interruzione di un servizio che da 120 anni è costante sul territorio, sarebbe un vero peccato».

Le cantine dell’Etna che hanno accolto l’invito ad entrare nella rete del Treno dei vini sono, per il momento, una trentina (sabato scorso è stata la volta di Tornatore Wine e Tascante), per la maggior parte, sono vicine alla linea ferrata per ovvi motivi logistici. Di volta in volta, per ogni itinerario, ne vengono coinvolte due diverse che “girano” secondo dei turni. «All’inizio non posso nascondere che da parte dei produttori c’era un certo scetticismo – ammette Valeria Càrastro – adesso sta scemando, perché nuove cantine si sono associate alla Strada del vino attratte dal progetto del “treno”.

L’agronomo dell’azienda Tornatore, Domenico D’Antoni a colloquio con i turisti 

E sono cantine di ogni genere, da quelle più tradizionali, con una storia sul territorio, a quelle hi-tech di produttori sbarcati sull’Etna magari dalla Sicilia occidentale, pronti alla nuova scommessa enologica che si gioca sui vigneti terrazzati del Vulcano. Loro hanno capito l’enorme potenziale del territorio, adesso bisogna convincere i Comuni dell’Etna. Non è possibile che i turisti sbarcati dal bus di “Around Etna” magari alle due del pomeriggio, si ritrovino a passeggiare in centri storici deserti con le saracinesche chiuse per l’ora di pranzo (dei commercianti). «Anche su questo stiamo lavorando – anticipa la direttrice delle Strade del vino e dei Sapori dell’Etna – con Castiglione di Sicilia, per esempio, siamo riusciti a garantire un minimo di servizio in più, informando i commercianti che quel giorno saremmo arrivati con un gruppo di turisti, qualcuno ha tenuto aperto, altri no. Capisco l’esercente che decidendo di restare aperto vorrebbe anche garantito un minimo di ritorno economico, ma noi non possiamo farlo. Serve un cambio di mentalità, è molto difficile, ma secondo me è un processo che lentamente si va affermando».

Twitter: @carmengreco612

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