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Sette regole per riconoscere il “vero” gelato artigianale

Di Matilde Monaco |

Il 66% dei consumi riguarda il gelato artigianale e il nostro Paese è l’unico al mondo dove questa differenza è molto marcata con ben 39mila gelaterie (compresi bar e pasticcerie che vendono anche gelato artigianale) e 150mila occupati.

Il prodotto è tipicamente italiano, tanto che – come accade per pasta, pizza e caffè espresso – i gelatieri italiani nel mondo stanno cercando di imporre il nome in italiano e non quell’ice- cream, ad esempio, che indica un altro prodotto, tecnicamente diverso, a partire dalla quantità di aria incorporata.

Il gelato artigianale è uno dei nostri prodotti d’eccellenza, anche se c’è ancora tanto da fare per diffonderne la cultura e per diffondere tra produttori e consumatori il gusto del gelato non coperto da creme, grassi idrogenati, stabilizzanti, tutti con lo stesso sapore che è quello delle basi industriali preparate che usa il 90% delle gelaterie. Spesso, mentre per il ristorante o la pizza lievitata e cotta come si deve, si fanno anche chilometri, per il gelato ci si accontenta di quello sotto casa. Eppure anche in questo settore dobbiamo imparare a riconoscere la qualità.

Ecco i consigli di un esperto per imparare a riconoscere il gelato artigianale di qualità. Sette mosse che riguardano parametri tecnici che gli stessi gelatieri tengono presenti durante le competizioni. Come per il vino e per l’olio ci sono delle regole di degustazione che possono guidare il consumatore. Possiamo usarle anche entrando in una gelateria.

1. Il primo aspetto è quello visivo. Se entrando in una gelateria vediamo quelle montagnone di gelato uscire fuori di parecchio dalle vaschette esposte, ecco qualcosa non va. Il gelato si trova molto al di sopra della linea del freddo (per il sistema di refrigerazione all’interno delle vetrine) eppure non tende a squagliarsi come farebbe se fosse prodotto con tutti i canoni. Questo potrebbe essere segnale di una dose di grassi vegetali idrogenati, che resistono a temperature maggiori. Quindi no alle montagne di gelato.

2. Ancora, fidiamoci della vista, stavolta per quanto riguarda il colore. Deve essere naturale. Il problema delle colorazioni “assistite” riguarda principalmente i gusti di frutta. Bisogna tenere a mente che nella lavorazione la frutta naturalmente un po’ si ossida e un po’ la vivacità del colore tende ad affievolirsi con le basse temperature. Quindi gialli sgargianti, rosa shocking, verde brillante sono da guardare con sospetto perché rinforzati da coloranti. Ricordate: il gusto banana, se naturale, è bianco, il kiwi verdino spento e così via.

3. La temperatura. Scartate le gelaterie con le montagne in vetrina e scelto il gelato dal colore naturale, possiamo assaggiare. Può sembrare strano ma il gelato non deve essere troppo freddo, cioè non deve dare in bocca sensazione di un gelo fastidioso, specie per quanto riguarda le creme (i sorbetti, base acqua, devono sembrare un po’ più freddi). Potrebbe essere segnale di una scarsa incorporazione di aria, dovuta a un bilanciamento non corretto della ricetta, quindi di un gelato non ben equilibrato. Ma non deve essere nemmeno troppo caldo (quelli che somigliano più a mousse che a gelati) perché potrebbero avere un eccessivo incorporamento di aria. O avere una eccessiva dose di grassi e/o stabilizzanti.

4. Il corpo. Come i vini, anche i gelati hanno un corpo, quello che si sente, che pesa sulla lingua. Il corpo è un aspetto collegato di solito anche alla temperatura: una crema troppo leggera, cioè troppo magra, è una crema in cui si è risparmiato su latte e/o panna. Quindi sarà anche troppo fredda perché prevarrà l’acqua.

5. La struttura. Nel gelato, per definizione, ci sono dei cristalli. Devono essere finissimi, per una struttura che risulti morbida sulla lingua, liscia, spatolabile. Il gelato ben fatto ha queste caratteristiche. Che però non durano in eterno (perché sono in equilibrio acqua, zuccheri, proteine, frutta, paste di semi oleosi come nocciole o pistacchi ecc,). Quando il gelato non è fresco tende naturalmente a perdere le sue qualità, anche se è stato ben fatto. La presenza di cristalli grossi – una specie di grana di piccoli ghiacciolini – può essere indice di gelato non fresco o di una vetrina a temperatura non ottimale, perché l’acqua a poco a poco si slega e ri-cristallizza.

6. La fragranza di gusto e persistenza aromatica. Sembra banale, ma la nocciola deve sapere di nocciola, la noce di noce, il limone di limone e così via. Ogni gusto deve essere riconoscibile nella sua individualità. In gelati non davvero artigianali o comunque non ben fatti, tutte le creme tendono ad assomigliarsi, perché sono preparate a partire da basi comuni con l’aggiunta alla fine dell’ingrediente corrispondente. Un po’ come cucinare con il dado: alla fine un po’ tutti i piatti tendono ad essere simili. Quindi ogni gusto deve avere la sua personalità e non deve subito svanire… il sapore e aroma dovrebbe restare abbastanza a lungo in bocca.

7. Il gelato di qualità non fa venire sete. A volte si ha questa necessità di bere dopo aver mangiato il gelato, che invece dovrebbe essere rinfrescante, quasi dissetante. Infatti la sensazione è più forte coi gelati industriali, alcuni dei quali usano grassi vegetali. Questi ultimi, in alcuni casi, hanno un punto di fusione più alto di quello della panna («vera regina del gelato artigianale»). Sappiamo che la temperatura di un corpo umano in condizioni normali non riesce a sciogliere bene in bocca quelli vegetali ed ecco la voglia di bere.

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