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Dal mare al piatto, il pesce “parla”

Di Carmen Greco |

Un tema, quello della tracciabilità del pesce che ha tenuto banco nell’edizione 2017 di Slow Fish soprattutto sull’onda di due “emergenze” la necessità di salvaguardare la pesca artigianale e quella di tutelare il consumatore con il progetto “etichetta parlante”. Quest’ultima esiste già per i prodotti ittici ma solo per gli operatori del settore e non per l’ultimo pezzo della filiera, cioè chi acquista al supermercato o in una pescheria il quale, spesso, si ritrova sui cartellini del pesce in vendita solo dei numeri spesso incomprensibili. «La tracciabilità del pesce – anticipa Rosario Gugliotta, presidente di Slow Food Sicilia (nella foto piccola)- fino al livello dei grossisti è rigorosa e, anzi, negli ultimi anni i dati sensibili sono aumentati, ma a vantaggio delle multinazionali del pescato che volutamente impongono etichette di difficile lettura per il consumatore. Tra l’altro, se un pescivendolo ha dei gamberoni che vengono dal Senegal ha tutto l’interesse a non dirlo al consumatore, se non altro per mantenerne alto il prezzo. Con il progetto di “etichetta parlante” noi vorremmo fare un’opera di sensibilizzazione verso le pescherie, i venditori, i ristoratori e, quindi, i consumatori».

Oggi, infatti, se una trattoria offre un pasta con i gamberi non è obbligata a dichiararne la provenienza, un’informazione che, forse, danno gli chef stellati. Ma come superare questo muro di “omertà” su quello che mangiamo?

«Il progetto “etichetta parlante” ha tre co-autori – continua Gugliotta – Slow Food Sicilia, l’Università di Messina (in particolare Veterinaria con il patologo ittico prof. Fabio Marino) e l’Istituto zooprofilattico di Barcellona Pozzo di Gotto. Insieme stiamo studiando un’etichetta che dia più informazioni di quelle previste dalla legge e soprattutto più leggibili in modo che il consumatore finale possa essere sempre più consapevole e, semmai, “scegliere” di acquistare un pesce che non provenga da mari siciliani».

Un esempio su tutti, il pauro, una specie che, al 99%, viene dal Nord Africa, perché al largo delle coste siciliane, ormai, non ce n’è più.

Ma cosa ci dovrebbe essere su questa “etichetta parlante”?. «Non solo il Paese in cui è stato pescato – spiega Gugliotta – ma anche la provincia, il metodo di pesca, se il pesce sia stato abbattuto e soprattutto se sia libero, o meno, da patogeni. L’aspetto salutistico sarebbe la vera novità. Bisogna sfatare il mito del ”sano come un pesce”, il pesce non è sempre sano, anzi è un alimento che spesso può creare dei problemi al consumatore. Leggere sull’etichetta “libero da patogeni” sarebbe un’informazione importantissima».

Il progetto è in fase di elaborazione. Per renderlo fattibile ci vorranno delle risorse europee da individuare e la strada tra l’dea e la pratica non sarà facile da percorrere, ma la meta non è irraggiungibile, specialmente in virtù della crescente sensibilità sui temi del consumo critico. Nel frattempo il consumatore che può fare?

«Due cose – consiglia il presidente di Slow Food Sicilia -. Primo, fidelizzare un pescivendolo e chiedere se quel pesce sia stato catturato da pescatori siciliani. Se un gambero è stato pescato veramente a Mazara del Vallo va bene, ma se è stato pescato altrove e poi viene venduto come siciliano, innanzitutto è una truffa e poi acquistando quel pesce non ho contribuito a tutelare i “saperi” della pesca artigianale e ogni pescatore che dismette la sua barca è un pezzo di storia che perdiamo».

A «Slow Fish 2017» la Sicilia ha partecipato con due spazi di discussione uno del Dipartimento Pesca e l’altro dell’assessorato al Turismo della Regione Siciliana. Uniti nell’obiettivo di educare da un lato alla “consapevolezza” in termini di consumi, dall’altra nel rafforzamento di un sistema delturismo enogastronomico con il progetto “Territori del vino e del gusto – In viaggio alla ricerca del genius loci”.

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