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Guia Jelo: «Indimenticabile il set con Terence Hill»

Di Maria Lombardo |

Mentre s’appresta ad andare in onda il gran finale di Don Matteo (domani sera), nella stessa data Terence Hill torna sul grande schermo con un film scritto, diretto e interpretato da lui: Il mio nome è Thomas, girato nel West europeo, il deserto di Almeria in Spagna. Con lui c’è la grande attrice catanese Guia Jelo che si riaffaccia sullo schermo a metà maggio anche con La Divina Dolzedia di Aurelio Grimaldi (l’anteprima al Festival di Taormina 2017).

La Jelo, beniamina del pubblico siciliano (dopo il grande successo allo Stabile in questa stagione con Sei personaggi in cerca d’autore, è in tournée con una produzione del Brancati Il cavaliere Pedagna di Luigi Capuana assieme a Tuccio Musumeci e Miko Magistro) è interprete d’alto livello e di grande notorietà. Terence Hill ha voluto proprio lei per interpretare zia Rosy personaggio portante.

Il film è la storia di un uomo che molla tutto e parte per il deserto. Nella scenografia naturale del deserto di Almeria in Spagna (dove si girarono i film di Sergio Leone e dove Hill ha girato in coppia con Bud Spencer) con l’attore-regista e la Jelo ci sono Veronica Bitto, Andy Luotto, Lorenzo Gasperini, Giovanni Malafronte e Matt Patresi. Produzione di Jess Hill (figlio di Terence) e Vivi Film.

E’ una storia on the road. Thomas, in sella alla sua Harley Davidson affronta un viaggio in solitario, incontra la giovane Lucia sconvolgerà i suoi piani. Poi trova un posto ideale: un piccolo paese tra la polvere del deserto. Alcune scene sono di omaggio alle epiche risse (le famose “padellate”) dei film del passato. Per Hill è il ritorno sul grande schermo a 24 anni da Botte di Natale, interpretato con Bud Spencer. Guia Jelo sfreccia in groppa alla moto col casco in testa assieme a Terence.

Bella esperienza?

«Sono un’attrice bambina nell’animo e nel carattere anche se anagraficamente navigata, particolare e bizzarra – dice la Jelo – come il mio personaggio nel film. Nel mio mondo sempre in salita, la difficoltà e la paura di cadere non è mai stata come l’ebbrezza del gioco, ma solo fatica e terrore di deludere e deludermi. L’avventura artistica, nello spessore poetico di Terence Hill, in questo film, la sua ribadita fiducia in me, sono stati una giostra di piacere e serenità. Terence mi ha dato la motivazione a continuare. Dal primo istante in cui ho letto la sceneggiatura e fino al momento in cui ho rifatto i bagagli per ritornare in Italia, ho ringraziato Dio che mi ha voluto fare questa carezza e Terence per avermi voluta al suo fianco».

Com’è stato l’incontro con lui quando ti ha scelta?

«Il mio personaggio, prima del montaggio, aveva più scene ma il ruolo, anche ridotto, è importante nella storia: svela l’arcano della protagonista, Veronica Bitto. Terence mi ha accolto con umiltà, con affettuoso spirito di collaborazione artistica, nella sua casa-ufficio. Sono andata con un vestito bianco ghiaccio e una sciarpa azzurra. Lui ha apprezzato moltissimo e c’è stato subito un feeling. Non ci credevo quando mi ha detto “Un’attrice come te…”. Mi ha presa perché conosceva il mio talento, le mie risorse e i miei limiti. La casting che è siciliana, Chiara Agnello, gli ha detto che solo io potevo fare questo personaggio».

Chi è zia Rosy?

«Una scrittrice naif molto sopra le righe, carattere uguale al mio, ironica allegra ma anche triste. Un film che a me regala il dualismo amore-morte ma quello che mi interessa di più è che io ogni anno dico “Voglio lasciare, soffro troppo, non ne posso più” e quell’anno è stato l’anno in cui questo proposito era più forte contro il parere dei miei figli i quali sono cresciuti con Terence Hill. Gli ho detto che “tu e Bud mi avete aiutato tanto”. Infatti da moglie separata avevo appuntamento ad ogni film di Spencer e Hill con il mio ex marito per portare i bambini al cinema. Terence è un cherubino con quei suoi capelli biondi».

Ma per caso ti sei innamorata di lui?

«Tutte le donne sono innamorate di lui. Io del suo modo di lavorare così rispettoso. Tipo “Facciamo questa inquadratura? La vuoi ripassare? Sei pronta?”. Non mi trattano tutti così. Non mi si dica che tutti gli attori lottano. Se tu non hai talento, non hai pubblico, devi farti aiutare dal nepotismo, ma io ho l’amore del pubblico, dei registi, 40 anni di Teatro Stabile. Mi aspetto molto dallo Stabile».

Cosa ti aspetti dallo Stabile?

«Vorrei occuparmi di una sezione della scuola Umberto Spadaro da dedicare a Mariangela Melato: “Stage Mariangela Melato”. La Melato mi mandava degli allievi: li preparavo privatamente per i provini e ho un piano didattico allestito con la supervisione di Mariangela: quello appunto che ho mandato allo Stabile».

Ma torniano al film. La foto in moto è propria una foto di scena?

«Assolutamente sì. Il set spagnolo è stato un’esperienza indimenticabile. Non parlo inglese né spagnolo. Mi hanno aiutata. Ho avuto una crisi di panico. Ma mi sono sentita protetta da lui e dai sorrisi degli spagnoli che mi assistevano».

Esce anche “La divina Dolzedia”.

«Ci tengo molto a dirlo: è scurrile, fatto da Aurelio volutamente squinternato, molto sulle righe. Non rispecchia il mio di carattere ma il suo. Il pazzo qua è lui che mi ha fatto impazzire per girare e ho dovuto dire no a tante cose».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA