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È emergenza bullismo, «ma la scuola non è un tribunale»

Di Andrea Lodato |

CATANIA – Inquietante, veramente inquietante. Da dove partire? L’ultimo caso di bullismo? Arriva da Lecce e lo leggete nei dettagli nel servizio a destra della pagina. Oppure partire dalla polemica scatenata da un articolo su Repubblica di Michele Serra che ha cercato di spiegare che dietro atti del genere quasi sempre ci sarebbe il disagio sociale, famiglie in difficoltà economica, i poveri, insomma. Tanto che la maggior parte degli episodi si registrerebbe negli istituti tecnici, quelli più frequentati dalla classe medio-bassa, e non nei Licei che ospitano la crema della società, figli di professionisti, famiglie agiate. La futura classe dirigente. Serra, investito da una valanga di critiche, ha detto che stava difendendo questi paria della scuola italiana, questi ultimi che sarebbero incattiviti dal loro status sociale e, poco educati a casa e molto avvezzi alla violenza e al delinquere, si sfogherebbero insultando e aggredendo docenti e compagni di scuola o amici.

Naturalmente, al di là di ciò che Serra voleva dire e che non si è ben inteso, non è quasi per nulla così. Ci sono bulli negli istituti tecnici quanti ce ne sono nei licei. Spesso esprimono in maniera diversa la loro violenza, ma la esercitano. E ci sono figli di professionisti negli istituti tecnici, soprattutto al Nord e al Centro Italia, dove maggiori opportunità di lavoro derivano dagli studi tecnici. E ci sono figli di operai, della piccola borghesia, che sono iscritti nei licei. Ma, appunto, non è differenza di classe, ma di società smarrita e confusa, che è tutta un’altra cosa. Questione sfuggita, politicamente, alla sinistra, se proprio vogliamo dirlo.

«Forse c’è di più – dice Claudia Urzì, docente e responsabile dell’Usb scuola Catania – Federazione del sociale – perché Serra dimentica che, in ogni caso, le scuole di serie A e serie B le hanno create loro, i loro governi, i loro ministri. Perché servono queste divisioni, serve chi venga fuori da istituti meno prestigiosi, gente che sarà manodopera a basso costo. Accade qui come in tutta Europa. E, poi, hanno tolto alla scuola pubblica risorse, l’hanno penalizzata, non si possono fare percorsi educativi personalizzati. Oltre ad avere delegittimato la figura dei docenti, facendoci passare per fannulloni. Su questo bisognerebbe riflettere, e sull’immagine che questi governi hanno trasmesso ai cittadini, ai ragazzi».

Governo della scuola che procede a tentoni, o sbaglia decisamente obiettivo e strategia. Lo conferma Santo Molino, per una vita docente e preside, oggi nel consiglio nazionale dell’Andis: «Dopo quel che è successo a Lucca, con il professore minacciato e ripreso dagli studenti, una Stato che reagisca seriamente non ordina il processo sommario a scuola, la sospensione dei “cattivi” e la bocciatura. Il fatto accaduto è gravissimo, ma la reazione delle istituzioni è quella di chi si arrende. Punisce il ragazzo colpevole e lo sbatte fuori dalla scuola. Che, così, fallisce per la seconda volta. Cosa dovrebbe fare? La scuola dovrebbe, innanzitutto, essere affidata a chi ha competenze vere, a chi è in grado e ha idee per rilanciarla. Qui si continua a pagare un prezzo altissimo alla 107, ma si procede, se possibile, anche peggio. Sento tanti lamentarsi perché non c’è tempo pieno nelle nostre scuole e si accusano governo, Regione, enti locali. Si faccia il tempo pieno, si scommetta su questo obiettivo, non si aspetti che decidano gli altri, che ci siano i soldi per la mensa, se no la scuola chiude alle 13 e ci vediamo domani. Ci vuole anche coraggio. E dico che questo dovrebbe partire dall’Ufficio scolastico regionale: dare ai dirigenti obiettivi seri da raggiungere, non stressare sulla correttezza delle procedure amministrative o sul seguire gli schemi dell’Anac per gli appalti. Ma, poi, che appalti se nelle scuole girano sempre meno risorse?».

E i ragazzi? Come la vedono ‘sta storia del bullismo? Daniele Fazio, che frequenta il quarto anno all’Iti Marconi a Catania, spiega: «Sono episodi gravi, che non dovrebbero verificarsi. Dipende, spesso, dall’educazione dei ragazzi, certo e dalle relazioni che si stabiliscono con i docenti. Per quanto ci riguarda, noi con i nostri professori abbiamo un rapporto di reciproco rispetto. Se esageriamo, beh ci richiamano, magari mettono una nota sul registro. Ma ci sta. A casa con i genitori parliamo della scuola, certo. E anche i genitori ci hanno educato al rispetto dei professori. Quando prendiamo un cattivo voto? Se capita raramente si arrabbiano con noi, ma se si ripete vogliono sapere come ci troviamo a scuola, con gli insegnanti. Magari chiedono anche di potere parlare con loro. Ma è normale che sia così».

Già, la famiglia. Claudia Urzì riparte da questa realtà: «Realtà in crisi, confusione di ruoli. Finito il rispetto delle regole a casa, così anche a scuola è sempre più difficile farle rispettare».

Ma c’è un altro punto su cui batte la docente e insiste anche Santo Molino. «I docenti devono farsi rispettare – è il pensiero di entrambi -. Non si può entrare nel merito della vicenda di Lucca non conoscendola a fondo, ma il professore se aveva subito altri atti di violenza avrebbe dovuto denunciare. Non farlo, minimizzare, può dare ai ragazzi la sensazione che le loro intimidazioni funzionano e che da qui all’impunità il passo è breve».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA