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Montante e la corruzione elettorale: era il “bancomat” segreto per i politici

Di Mario Barresi |

«Follow the money». Una significativa parte del secondo filone dell’inchiesta della Procura Caltanissetta sul “sistema Montante” è una citazione alla memoria di Giovanni Falcone. I pm oggi guidati da Amedeo Bertone hanno seguito questa tecnica sin dall’inizio dell’indagine per concorso esterno in associazione mafiosa sull’ex presidente di Confindustria Sicilia. E molti degli sono adesso confluiti nell’inchiesta su corruzione e finanziamento illecito ai partiti, in cui, oltre a Montante, ci sono altri 8 indagati fra cui l’ex governatore Rosario Crocetta.

Per le mazzette ai politici ci vuole innanzitutto il denaro cash. E, per quanto riguarda Montante, i pm sono convinti di avere «plurime acquisizioni» per dimostrare che Montante «abbia potuto disporre – quanto meno sino ad epoca assai recente – di somme in contanti derivanti dalla creazione di “fondi neri” nella gestione delle società allo stesso riconducibili». È la tesi dell’accusa, poi fatta propria dal gip Maria Carmela Giannazzo.

Si parte dalle parole. Quelle dei testimoni di giustizia sentiti nella lunghissima inchiesta per mafia: soprattutto Dario Di Francesco, ma anche Carmelo Barbieri e Salvatore Ferraro. I quali «facevano sorgere il fondato dubbio che il Montante potesse aver goduto, nel corso del tempo, di finanziamenti occulti e che disponesse, del pari, di risorse economiche “in nero” da impiegare per le più svariate finalità». Ma non sono soltanto i pentiti a parlare di questo argomento. C’è anche l’interrogatorio di un altro indagato, Massimo Romano, fedelissimo di Montante, che racconta di una richiesta, ricevuta fra novembre e dicembre 2014, di «cambiargli in tagli di minori dimensioni una somma in contanti di cui disponeva (in banconote da 500 euro) e che si aggirava tra i 100.000 ed i 300.000 euro». E infine c’è un altro racconto di Michele Tornatore, ex dipendente di Montante. L’episodio risale al 2001, quando il dipendente accompagnò l’imprenditore a Milano. Doveva incontrare Paola Patti, figlia di Carmelo (il defunto ex patron di Valtur, ritenuto «vicino agli interessi di Matteo Messina Denaro») al Jolly Hotel di largo Augusto. Compagna di viaggio «una borsa della tipologia di quelle abitualmente utilizzate dai medici e che lo stesso Montante si affrettò a collocare sotto il letto». Ma la valigia, inavvertitamente, si aprì. Era piena di banconote di grosso taglio. E il datore di lavoro si giustificò con Tornatore dicendogli «si trattava di soldi che doveva consegnare alla Patti».

Ma la Procura è andata oltre: «Sono però stati acquisiti ulteriori elementi – anche sulla scorta delle attività tecniche – di enorme rilievo, poiché consentono, da un lato, di avere ulteriori e pregnanti conferme all’assunto da cui si muove, dall’altro di comprendere la destinazione ultima di almeno parte di quelle risorse». Il finanziamento campagne elettorali, come riferito sia dall’ex assessore regionale “confindustriale” Marco Venturi sia da Giovanni Crescente, ex direttore di Confindustria Caltanissetta. E poi c’è l’intercettazione di Giovanni Torbia, presidente del Tennis club di Caltanissetta, che racconta di aver ricevuto dall’indagato buste piene di soldi («… ca c’è 800 miliuni, ca c’è 600 miliuni») da consegnare all’ex governatore Totò Cuffaro, che smentisce e annuncia querela. Lo stesso Trobia, intercettato in un dialogo con Venturi, ex sodale e oggi accusatore principe, ammette di «essere stato un portaborse … di essere stato un distributore di mazzette magari … ma mazzette parliamo di centinaia di milioni ah…».

Parole, ma anche numeri. Nel fascicolo anche gli atti di due vecchie indagini a carico di Montante risalenti al 2000 e al 206 su due sue società – la Anco Europa e la più importante Mediterr Shoch Absorbers: entrambe archiviate dai gip su richiesta del pm. Ma, al di là dell’insussistenza dei reati ipotizzati, già all’epoca si evidenziarono «artifici contabili» nel primo caso e creazione di «fondi neri per svariate centinaia di migliaia di euro», poi regolarizzati «attraverso una altrettanto fittizia distribuzione degli utili a mezzo di una falsa delibera artatamente retrodatata». Su quelle aziende, ma anche su altre, la Procura ha disposto consulenze tecniche. Che ora mostrano molte «anomalie», fra le quali «i pagamenti di dividendi e di royalties eseguiti pur sempre per “cassa contanti” da parte della M.S.A.», ovvero un’altra azienda della galassia Montante. E «altrettanto anomala appare la circostanza per cui l’unico socio a beneficiare dell’operazione di distribuzione degli utili sarebbe stato Montante» e non l’altro socio. Fra M.S.A e Gimon (altra sua società) solo fra il 2002 e il 2006 «Montante ha ottenuto per cassa contanti la somma complessiva di oltre 310.000 euro». E poi le «operazioni “inusuali”», una «contabilità apparentemente “parallela” del conto cassa che confermerebbe l’anomalia di utilizzo dei contanti». La tesi è che la M.S.A. «disponga di “una cassa extracontabile”». E ciò dimostrerebbe che l’imprenditore ha disposto «di risorse occulte che, ovviamente, non devono transitare nei bilanci della società».

Da testimonianze, intercettazioni e soprattutto consulenze tecniche, la Procura di Caltanissetta arriva a questa conclusione: «Emerge, infatti, come il Montante possa avere impiegato somme di danaro – da ritenersi con ragionevole certezza frutto della creazione di risorse occulte – per foraggiare esponenti del mondo politico che hanno rivestito un ruolo apicale all’interno della Regione Sicilia e come, sempre il Montante, abbia cercato di condizionare nel corso del tempo, evidentemente per la tutela dei propri interessi, l’azione del governo regionale».

Twitter: @MarioBarresi

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