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Sicilia, porte chiuse ai laureati: soltanto due su 10 sono occupati

Di Michele Guccione |

PALERMO – In Sicilia non c’è posto per i laureati. Quelli occupati nella loro terra sono appena il 19%, e il numero complessivo in uscita dai corsi universitari di conseguenza si è ridotto di un quarto. In dieci anni i laureati emigrati al Centro-Nord per lavorare sono stati 39 mila. È il dato che in modo più crudo di altri fotografa la narrazione di un 2017 assai amaro per l’economia isolana, dove una timida ripresa ha cercato di farsi spazio fra i tanti titanici handicap che continuano ad appesantire lo sviluppo della nostra terra.

Purtroppo non è l’unico fattore negativo. Secondo il rapporto di Bankitalia, presentato ieri nella sede di Palermo dal direttore Pietro Raffa (nella foto sotto), la disoccupazione, anche se si è ridotta dello 0,6%, è comunque ferma al 21,5%, cioè il doppio della media nazionale che è l’11,2%. I nuovi occupati nello scorso anno sono stati 15 mila in più (+1,1%), ma dei posti di lavoro persi negli anni della crisi, dal 2008 al 2015, quelli finora recuperati sono stati appena i due settimi. Ci sono ancora ben 412 mila famiglie, il 29,8% del totale, nelle quali nessun componente ha un lavoro. Inoltre, il 40% dei nuclei familiari siciliani ha un reddito al minimo e il 56% dei residenti è a rischio povertà.

In tutto questo il reddito pro-capite è fermo a 13 mila euro l’anno, quello medio delle famiglie a 17.900 euro contro la media nazionale di 24 mila euro. Eppure aumentano i consumi, ma non con propri soldi: banche e finanziarie assecondano la maggiore richiesta di prestiti per spese di prima necessità, dalla casa alle utenze, dagli affitti ai generi alimentari, con un credito al consumo che vola del 2,8%, più della media nazionale. Una politica obbligata per le famiglie, che così si sono indebitate per il 49,6% del proprio reddito (cioè la metà di quanto guadagnano se ne va in rate), ma “suicida” per le banche e le finanziarie, che probabilmente si vedranno moltiplicare i soldi non restituiti se le cose non miglioreranno sul fronte degli investimenti pubblici (ridotti all’osso), delle imprese e del mercato del lavoro.

Le banche, da parte loro, se foraggiano il surplus di spesa delle famiglie, forse si preparano all’ “effetto boomerang” e si liberano più che possono del peso delle sofferenze già in pancia (cedute un quarto nel 2017), abbattendo la loro incidenza al 14,4% degli impieghi in essere, peso che sale al 21,2% se si conta il totale dei crediti deteriorati. Di contro, le banche stringono i cordoni della borsa di fronte alla richiesta di finanziamenti da parte delle imprese, che presentano ancora elevati tassi di rischio. Così alla fine il bilancio degli impieghi sale di appena lo 0,3%, in controtendenza rispetto al miglioramento nazionale, e anche il tasso di deterioramento dei crediti è crollato al 2,8%: non presto, non rischio.Le imprese, dal canto loro, sono costrette a migliorare i bilanci, ad accrescere la liquidità e ad aumentare depositi e accantonamenti.

Alla fine, soffre anche la raccolta bancaria, con depositi e conti correnti che crescono solo dell’1,1% scontando anche il calo di valore delle obbligazioni. La ricchezza totale dei siciliani ammonta a 455 miliardi di euro, pari a 7 volte il reddito disponibile, inferiore alla media nazionale. È cresciuta negli anni di appena il 3% a causa della perdita di valore degli immobili e del rallentamento delle attività reali, che rappresentano i due terzi del capitale totale.

Sul fronte macroeconomico, il Pil nel 2016 ha registrato -0,1%. La tendenza per il 2017 e il 2018, secondo Bankitalia, sarà di un lento miglioramento. La “ripresina”, in atto, è trainata solo dal terziario e dal turismo, con +1,3% di valore aggiunto, e dall’industria (+1,9%) che ha aumentato la produttività solo nelle grandi aziende, mentre crollano l’agricoltura (-3,5%) e le costruzioni (-2,3%). Funzionano bene l’export (+30,4%) e il turismo, forte di un +7% di presenze e +9,5% di traffico aereo (ma solo il 28,6% è fatto di voli internazionali, la maggior parte atterra a Roma e Napoli come hub per il Sud).

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