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Carta canta: nomi e date, quelle pagine hanno un’anima

Di Mario Barresi - Nostro inviato |

Siracusa. Carta canta. Anche quei fogli, in apparenza soltanto scartoffie impolverate, hanno un’anima. E raccontano una storia. Di veleni. Gli ennesimi, in un Palazzo già avvelenato da una raffica di inchieste. Il sindaco di Siracusa si tira fuori dalla Firmopoli: «Di quei moduli non so nulla».

Ma carta canta. Anche a più di tre anni di distanza. Perché se da un lato ci sono i dubbi, dall’altro i fatti, con date. E gli uomini, con nome e cognome. Oggi la lista oggetto delle indagini sembra quasi essere disconosciuta da tutti. «Io ho soltanto fatto l’accettazione della candidatura, non mi sono occupato di altro», dice Santino Armaro, uno dei tre eletti (insieme con Tanino Trimarchi e Loredana Spuria), poi diventato addirittura il presidente del consiglio comunale. «Una lista fatta da professionisti e lavoratori, tutti fuori dalla politica – dice Armaro – e comunque di centrosinistra, in molti vicini all’area renziana. Infatti, dopo aver vinto il ricorso al Tar contro l’esclusione, entrammo subito nel gruppo del Pd».

Renziani del Pd. Come i due promotori formali della sottoscrizione: Armando Foti (fratello del mitico Gino, ex sottosegretario Dc e immarcescibile kingmaker della politica siracusana, a dispetto dei guai giudiziari) e Vittorio Anastasi, stimato docente. E come l’autenticatore delle firme: Liddo Schiavo, già apprezzato consigliere provinciale ed ex assessore di Garozzo. Saranno loro, se la Procura dovesse ritenere fondati i dubbi sulle «anomalie» dei moduli, a dover dare per primi delle risposte. E magari Giuseppe Patti, candidato e ora accusatore, dovrà rivelare a chi di dovere l’identità della persona che gli fece la battuta («per questo capriccio di fare il capolista ni facisti fari ‘na mala nuttata») dal quale è nato, molto postumo, il tarlo del dubbio sulle firme. E l’identikit potrebbe essere quello di Giovanni Cafeo, fotiano doc, ex braccio destro del sindaco prima di una rottura che a Siracusa significa la fine di un’epoca. Il divorzio fra renziani-garozziani e renziani-fotiani

Con in mezzo il resto del Pd, un insieme di tribù in guerra, che alla notizia dell’indagine si divide fra legittimamente gongolanti e stranamente impauriti.

Carta canta. Anche con le date. Patti esterna – in conferenza stampa, all’hotel “Alfeo” – il ritiro della sua candidatura a sindaco il 10 maggio 2013, a cinque giorni dalla scadenza della presentazione delle liste. C’è il tempo per raccogliere ex novo oltre 750 firme per accontentare il «capriccio» dell’architetto che vuole fare il capolista? In teorina sì: l’accordo potrebbe essere stato siglato prima di quando fu ufficializzato. Certo, le cose cambierebbero se – oltre a quell’alone, nell’ultimo foglio del faldone, che potrebbe sembrare di una fotocopiatrice – si scoprisse che alcuni moduli con le firme raccolte recano una data molto precedente al patto di Patti.

Guardare per (non) credere Le «anomalie» segnalate dall’autore dell’esposto, Patti, riguardano i «fogli senza un vissuto, sin troppo immacolati». C’è anche chi sostiene che, nell’ultima pagina del faldone, ci sia un alone simile a quello dei fogli fotocopiati. Il deputato regionale Zito (M5s) che ha incaricato un perito grafologico, esprime «più di un dubbio» sulle firme. Abbiamo avuto modo di consultare i moduli (a sinistra tre degli estratti). In numerose pagine la grafia, anche all’occhio di un non specialista, appare uniforme per gli autografi di tutti i sette sottoscrittori inseriti in ogni foglio. L’inclinazione, l’andatura, gli spazi, il modo di scrivere alcune lettere: sembra tutto molto simile. Soltanto un’impressione?

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