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Cronaca

La Medea vestita da Babbo Natale: «L’ho fatto per il bene delle bimbe»

Di Mario Barresi |

GELA – «Gaia, smettila con queste farfalle. Non puoi disegnare qualcos’altro? Sei fissata con le farfalle». «E tu, Maria Sofia… quante volte ti ho detto che non puoi usare il mio telefonino?».

Sì, magari aveva pensato di farlo a Natale. Quando la tristezza si fa depressione. E l’infelicità, visto che devi sembrare felice come la mamma della pubblicità del panettone, ti sembra ancor più cupa e invincibile.

L’avrebbe fatto, fors’anche, nel giorno più bello e più brutto dell’anno. Ma Giusy Savatta – la Medea col vestito di Babbo Natale macchiato di sangue – ha aspettato. Chissà perché.

«L’ho fatto per il bene delle bambine, le ho uccise per il loro bene», ripete come un disco rotto, stesa su un lettino del “Vittorio Emanuele”, quasi a volersi fare sentire dai carabinieri che la piantonano fuori dalla stanza.

In quel momento il marito, Enzo Trainito, parla (lo farà per ore) con il procuratore Fernando Asaro e con la pm Monia Di Marco. Prova a spiegare il perché di una carneficina senza senso.

Le risposte che cercano stanno quasi tutte lì. Nella bella casa al primo piano di via Passaniti. Tempio d’amore per due sposini, nido per tenere al caldo le «due cucciolotte». E ora luogo del duplice delitto. Quello di una madre che ha costretto le due figlie di 9 e 7 anni a bere la candeggina. Dallo stesso flacone che lei usava per sconfiggere le macchie impossibili, quelle dell’ultimo compleanno d’un compagno di scuola.

È qui dentro che si annidano l’alfa e l’omega di ciò che è successo ieri poco prima delle 13. Un urlo disperato nel silenzio di un giorno non festivo ma comunque festoso. Un muratore, impegnato sul ponteggio della facciata di una casa vicina, balza giù e accorre. «Che hai fatto? Sei una pazza, le hai uccise», sta vomitando Enzo a Giusy. Che si prende pure un ceffone mentre implora il marito: «Uccidi anche me. Ti prego, fallo!». Il soccorritore si accorge presto che è inutile soccorrere le bambine. Il corpo di Gaia è in corridoio, quello di Maria Sofia nella stanzetta. Con le Barbie che la vegliano, mentre in tv gracchiano i cartoni animati senz’anima.

Maria Sofia e Gaia. Tutt’e due con il pigiamino rosa, tutt’e due con le labbra livide. «Le ha fatte bere con la forza, loro hanno lottato per difendersi», è la prima ricostruzione. La polizia scientifica lavora nell’appartamento dell’orrore. Un grande soggiorno, appena entrati, con un alberello vicino alla tenda. Di quelli né troppo piccoli, né troppo grandi; né troppo spogli né troppo addobbati. A sinistra si va in cucina, dove c’è qualche traccia di sangue. Girando a destra si percorre il corridoio che porta alla zona notte. Due stanze: una di mamma e papà, l’altra il regno delle sorelline,

È qui dentro che tutto comincia e finisce. I «problemi di coppia, forse sottovalutati da lui» dei primi riscontri di chi indaga. Che non conferma (né smentisce) che dentro quell’armadio, fra le camicie ben stirate, si nascondesse anche lo scheletro della separazione. La «depressione latente» di lei, sussurrata da qualche parente disperato, ma mai certificata da nessun medico.

Una strage della normalità. Se potessero parlare, i pupazzetti della stanza di Maria Sofia e di Gaia racconterebbero la malinconoia di questo Natale. I sospiri di mamma Giusy, laureata in Lettere, che forse sognava una vita diversa. Voleva insegnare italiano al liceo, ma la scuola, tutt’altro che Buona, le concedeva sei ore da supplente di sostegno in terza media alla “Romagnoli”. Per aiutare i ragazzini che hanno bisogno. Ma chi è che aiuta lei? Il marito Enzo, ingegnere edile con studio in piazza Salandra e anch’egli professore al geometra “Majorana” per portare uno stipendio sicuro a casa, lo descrivono come «sempre sereno e sorridente, ma taciturno». Nel profilo Facebook – la carta d’identità che ognuno allestisce come una vetrina del sé per gli altri – soltanto foto di cantieri e di progetti; neanche una traccia delle tre femmine della sua vita. «Giusy era gelosissima delle figlie, non voleva nemmeno che nel gruppo WhatsApp della classe gli altri genitori postassero le foto di Gaia o di Maria Sofia», racconta una mamma

Chissà che tormento, quel gruppo. Lo avrà maledetto, il beep-beep continuo nei giorni di festa. Ogni suono una coltellata, per Giusy. Foto di mogli che preparano il pasticcio di lasagne, video di famigliole sotto l’albero a scartare i regali. «Ma che fa, la facciamo una tombolata?», azzarda una. E scatta la catena del pandoro: la festa in programma per ieri pomeriggio. «Non ho voglia di andarci», avrà pensato Giusy. Che, quando il calendario si inzuppa di rossi, ricorda sempre il padre. Giuseppe, pure lui docente, che si suicidò il giorno di Pasquetta di qualche anno fa. Buttandosi dal balcone di casa sua, in via Romagnoli.

Beep-beep. Un altro guizzo, le mani sul display. Ed ecco le foto della recita di Natale all’istituto “Suor Teresa di Valsà”. Maria Sofia, in quinta, impersona una bambina di Aleppo per scacciare l’orrore della guerra; Gaia, in seconda, fa la piccola pompiera per esorcizzare l’incubo del terremoto. Guerra e terremoto. Ma la morte no. Quella spunta una mattina delle vacanze, che una mamma fragile vorrebbe non iniziassero mai. Giornate interminabili. Lei e le sue piccole, le «principesse» di un uomo sempre più papà e sempre meno marito. Un altro sms, un’altra foto. Tutti i genitori e i figli. Giusy tiene in braccio Gaia, nascondendola all’obiettivo; Enzo ha lo sguardo orgoglioso, ma perso nel vuoto. Due vite grigie, forse, in un selfie colorato.

Lei scruta la cornice in soggiorno. Con dentro loro due in viaggio di nozze. Indimenticabile, quell’estate del 2006. L’anno dopo, ad aprile, sulla porta il primo fiocco rosa. «Ma perché non lo facciamo un bel viaggio noi due da soli?», sogna Giusy mentre sbircia i depliant dell’agenzia “Calcagno” in via Bresmes. «Magari qualche volta le faccio una sorpresa, le porto un regalino», pensa Enzo, ogni volta che rincasa, davanti alla vetrina di “Deco Flower”. «Perché non vediamo Oceania? Lo fanno da mercoledì», chiedono Maria Sofia e Gaia, in un coretto complice, in piazza Mattei, all’ingresso sfavillante dell'”Hollywood”.

Né viaggi, né regalini, né film. In via Passaniti, ormai, solo silenzi per cena. Poi il Natale. La condanna alle sbornie. E alla finta felicità. «Ma tanto fra poco è già la Befana e tutto tornerà come prima», avrà pensato lei. Ma come prima come? Last Christmas risuona come una litania funebre, per Santo Stefano. George Michael è morto. E nemmeno Giusy sta tanto bene. La candeggina, la lotta disperata contro due angeli indifesi che provano a difendersi, la telefonata al marito. «Le ho ammazzate, vieni». Lo schiaffo, i soccorsi, i cadaveri dentro ai pigiamini rosa. Il muratore, disperato, che abbraccia un carabiniere che lo consola. «Aiutatemi a morire», dice Giusy al pronto soccorso. Un lungo silenzio, molti singhiozzi. «Sì, l’ho fatto per salvare le bambine», è il sussurro assolutorio di una donna sofferente che sembra non soffrire più.

Niente cibo, soltanto le labbra bagnate d’acqua. «Dottoressa, la prego, mi copra. Ho freddo, stasera ho tanto freddo».

Twitter: @MarioBarresi

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