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«Sicilia corrotta e irredimibile, solo l’educazione può salvarla»

Di Andrea Lodato |

CATANIA – Simonetta Agnello Hornby ci tiene a precisarlo subito: «Parliamo di elezioni? Beh, io vivo da sempre lontano dalla Sicilia, non seguo la politica. Che volete che vi dica?».

Ovviamente non è così, Nel senso che seppure Simonetta Agnello Hornby è una siciliana che ha messo radici a Londra e là abita da una vita, resta pur sempre straordinariamente siciliana. Scrive per Feltrinelli libri che incantano i lettori. Scrive e viaggia per presentare quei libri. E, gira vota e furrìa, donna Simonetta è in Sicilia. La citazione in vernacolo non è casuale. Per dire quanto Simonetta Agnello Hornby sia rimasta legata alla sua terra, partiamo dall’amore che ha conservato per il dialetto. Dentro cui c’è il personaggio che ci dirà più avanti cosa pensa di questa benedetta terra, come la vede e come la vorrebbe.

«Il dialetto? Sì, uso spesso espressioni e parole siciliane, vero è. Il fatto è che mio padre quando gli dissi che mi sposavo e andavo a vivere a Londra, mi fece una preghiera: «Simonetta, se proprio devi parlare inglese, beh fallo con l’accento siciliano, allora. Non si sa mai». Ecco, ho memorizzato quella preghiera e quel non si sa mai, ho conservato quelle parole, quei modi di dire molto siciliani, direi molto favaresi, anzi. E continuo ad usarli».

E partiamo, allora. L’avvocato che andò alla conquista di Londra stabilendo il suo quartier generale in una delle zone più dure di Londra, Brixton, e la scrittrice che nel tempo ha conquistato milioni di lettori con i suoi racconti, che idea ha oggi della Sicilia?

«Intanto vorrei dire che io sono e resto molto siciliana, e amo dirlo sempre, anche se da vent’anni ho la cittadinanza inglese. Che idea ho oggi della Sicilia? Abbiamo tante intelligenze, abbiamo straordinarie realtà. Ma quante cose non funzionano, che peccato. Quante di queste cose belle, che dovrebbero essere il valore aggiunto della Sicilia, sono trattate male. Penso al turismo. Penso all’agriturismo, per esempio. Ma penso anche a ciò che vediamo ogni giorno, episodi che possono sembrare marginali, ma non lo sono. Io sono spesso in Sicilia ospite di scuole che mi invitano a parlare dei miei libri. E sono quasi sempre scuole meravigliose, con un bel corpo insegnanti. Ma leggo i giornali, sento i racconti delle mie cugine, e capisco che quel che vedo io, forse, è un’eccezione in un panorama fatto di problemi enormi legati al mondo della scuola. Perché ci sono scuole cadenti, prive di servizi essenziali. Perché temo che la mancata vigilanza da parte di certi dirigenti scolastici generi situazioni d’orrore come quella di Corleone (e potrebbe essere qualunque altro paese) dove, ho letto, una maestra maltrattava gli scolari. Ma come è possibile, mi domando, che non ci sia attenzione e sensibilità per il mondo della scuola, della formazione, dell’educazione che ricevono i bambini e i ragazzi durante gli anni che passano nelle aule? Ecco, questo della Sicilia, ovviamente, non mi piace e mi pare che ci siano precise responsabilità da parte di chi dovrebbe governare questo mondo. Perché è con l’educazione che si migliora».

Già, l’educazione. L’educazione, l’etica, la morale. Ma, dice Simonetta Agnello Hornby, questa è la terra che ha smarrito gran parte della sua dignità, conservando solo la parte dell’orgoglio, la terra in cui il biglietto da visita di tanti è: «lei non sa con chi parla». Ma c’è di peggio.

«Ho letto sul vostro giornale proprio in questi giorni un report terribile sui lavori pubblici: 14 anni per completare un’infrastruttura dalla progettazione alla consegna. Ma è una vergogna, ma come è possibile? Questo in una terra dove i trasporti sono una piaga, dove spostarsi da Palermo ad Agrigento è un viaggio interminabile. E qui, inevitabilmente, mi pare che entri in gioco anche un altro problema devastante per l’Isola, cioè la corruzione, il sistema diffuso per cui se hai un amico una pratica cammina, se non ce l’hai si paralizza tutto. Oh, naturalmente so bene che non è una questione che investe solo la Sicilia, sono fenomeni largamente diffusi. Ma qui, partendo da enormi ritardi, credo si paghino prezzi assai più alti».

Simonetta Agnello Hornby ha una storia personale affascinante e ricca di grandi suggestioni, che merita di essere scoperta. Dovendo parlare oggi di politica, in qualche modo, ci lasciamo conquistare dal racconto del suo primo voto controcorrente, tenuto conto che Simonetta era nata da Don Francesco (Cicì) Agnello Gangitano, Barone di Segneferi, e da Donna Elena Giudice, insomma contesto di alta nobiltà. Senonché…

«Sono sempre stata una ribelle, papà e mamma lo sapevano. A 15 anni volevo iscrivermi al Psdi di Saragat, mi pregarono, quanto meno, di aspettare che facessi 16 anni. Ma mi aveva anche affascinato Ugo La Malfa, con il suo Partito Repubblicano. Così quando arrivarono le elezioni… Mio padre mi aveva chiesto di non fare sorprese, perché eravamo una famiglia in vista. Io votai. Il giorno dopo mio padre era una furia: «Ma come hai potuto – mi disse – fare una cosa del genere, come?». Il fatto è che al Villaggio Mosè, dove vivevamo, il Pri aveva preso un solo voto, il mio. E per la famiglia Agnello non era una bella cosa. Ci risi su a lungo».

Simonetta Agnello Horby alla Scala dei Turchi nell’Agrigentino

Donna di sinistra, ma non comunista, laburista anche se non le piace Jeremy Corbyn, occhio critico, ma con giudizio, ovvero senza esprimere sentenze per partito preso. Così anche se è dura con la Sicilia e con la classe dirigente che non c’è, Simonetta Agnello Hornby dal suo osservatorio privilegiato di Londra, divide in parti uguali critiche e appunti, speranze e disperazione.

«Non penso, e non bisogna pensare, che corruzione, cattivo governo, indifferenza verso le fasce deboli, siano caratteristiche soltanto nostre. Il degrado etico è diffuso, lo vedo anche in Inghilterra, dove, per esempio, l’uccisione della deputata britannica laburista, Helen Joanne Cox, è stata rapidamente dimenticata da tutti. Eppure è stato un fatto estremamente grave. Certo, qui in Sicilia si parte da un ritardo enorme, da deficit pesantissimi. Nel degrado globale, insomma, noi siamo un po’ più avanti degli altri. C’è speranza? Io vivo di speranze, credo che non bisogna mai rassegnarsi. Ma se devo dire la verità, oggi qui non vedo gli inizi di un miglioramento. Non lo vedo, lo dico chiaramente, nel campo dei servizi pubblici che sono quelli fondamentali: istruzione, città, pulizia, trasporti. No, non lo vedo, non ci sono le condizioni per fare pensare ad un miglioramento. Però non voglio disperarmi. Diciamo che penso che dobbiamo cadere ancora più in basso, perché quando una cosa va male, deve andare sino in fondo per poi poter ripartire. E’ come un bubbone che poi si taglia, ed esce tutta la parte infetta. E da quel momento il corpo reagisce, comincia a guarire, anche se la cicatrice resta».

La speranza c’è, dunque, ma attenzione, spiega la scrittrice palermitana, a non replicare errori gravissimi nella gestione, anche, delle enormi risorse che arrivano dall’Europa. E si congeda così come aveva cominciato, con un concetto condensato in una parola araba conservata nel dialetto agrigentino.

«Dall’Europa sono arrivati e arrivano tantissimi soldi, ma noi, al contrario di altri Paesi, li abbiamo trattati come fosse denaro arrivato “acchiato”. Sapete cosa vuol dire? Vuol dire arrivato “senza lavorarci per”. Ecco, non c’è filosofia peggiore per chi deve gestire con responsabilità il riscatto di questa terra».

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