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Emanuele “Poki”, lo street artist gentile

Di Carmen Greco |

Emanuele, in arte, “Poki”, ha 27 anni, lo sguardo pulito, un grande talento e le idee chiare su quello che vuol dire essere uno street artist. Disegna quello che gli pare, dove gli pare e su qualsiasi dimensione e superficie senza avere vincoli. Ma il suo tratto si vede, anzi si sente, sui palazzi, sui muri diroccati, sui marciapiedi. Nei suoi pesci combattenti e nei sui rinoceronti-cavarella. Disegni fluttuanti e a tratti surreali che pescano l’ispirazione nella natura. Nemo phofeta in patria, ci sono più disegni suoi sparsi per le città d’Italia che nella sua città, Catania e tantomeno nel suo quartiere, Librino. Disegnatore-viaggiatore, o viaggiatore-disegnatore, le due cose si sovrappongono, si interscambiano, in una parola convivono. «Le mie due grandi passioni erano il disegno e il viaggio, ho cercato un modo per unire le due cose e ultimamente grazie alla street art ci sto riuscendo. Ho commissioni anche fuori dalla Sicilia e, per me, è un’opportunità per vedere posti nuovi e per fare quello che mi piace».

Il murale di Poki al lungomare di Catania

Perché non hai mai disegnato nulla di tuo a Librino? E’ pieno di muri…

«Non ho avuto la voglia di dipingere lì ho un rapporto di amore-odio con il quartiere. Sono molto legato a Librino, lo trovo un bel posto in cui vivere nonostante abbia i suoi contro come credo qualsiasi altro luogo. Non credo esista un posto “perfetto”».

In Sicilia come si trova uno street artist?

«C’è stato ultimamente un boom in questi anni, ci sono tantissime associazioni che hanno fatto anche dei progetti all’avanguardia, per esempio, “Push” a Palermo, una civic start up che ha portato la street art a Borgovecchio con la quale ho fatto un laboratorio con i bambini; c’è Castrofilippo in provincia di Agrigento, un paese sperduto nell’entroterra dove stanno facendo delle cose veramente belle, e anche lì ho dipinto un paio d’anni fa».

Una definizione per la sua arte?

«Non ne ho idea. Butto su carta tutto quello che mi va di esprimere, ho affrontato vari temi, quello del momento è la migrazione. Migrazione di animali e di persone. Tutti migrano, uccelli, mammiferi, anfibi anche i rospi stessi che vanno a cercare il lago dove sono nati. Anche gli uomini migrano solo che altri uomini hanno alzato i muri».

La sua migrazione?

«L’estate scorsa ho pianificato un percorso di viaggio che partisse dalla Sicilia e mi portasse a Nord, fin dove potevo spingermi. Sono arrivato fino in Sardegna, passando per realtà diverse, a Riace, a Campobasso… In genere mi metto in contatto con qualcuno che mi ospita, organizza la mia permanenza e si occupa di ottenere tutte le autorizzazioni per disegnare il murale. Ho ricevuto tantissimi inviti, da associazioni, privati, Comuni, ho fatto sette tappe a Riace durante il festival dell’immigrazione, in Basilicata mi ha ospitato un bellissima realtà che si occupa di stampa 3d. MI piaccino le nuove tecnologie, ne capisco le potenzialità, però dal punto di vista fisico io ho bisogno dellla materia, di avere sotto mano le cose con cui lavoro».

Cos’è disegnare?

«Per me significa concentrarmi, buttare giù delle immagini che ho in testa, significa chiarirmi le idee perché una volta che concepisci un pensiero, prende forma solo se lo disegni. Poi è anche sfogarsi, divertirsi, non pensare».

Un posto che avrebbe bisogno di essere “disegnato” a Catania?

«C’è un palazzo bellissimo, in realtà sono due palazzi collegati tra loro, dietro il Corso Sicilia, vicino ad un parcheggio. E’ molto bello come muro, anche se ultimamente non ho più l’attrazione verso i grandi muri, preferisco lavorare fuori città, su muri un po’ più piccoli, un po’ più rurali più a contatto con la natura. Le campagne intorno Catania, gli agrumeti vicino al mare… Ho disegnato a Niscemi, Messina, nella zona dei Nebrodi».

E un quartiere che meriterebbe attenzione lasciato, invece, all’abbandono?

«San Berillo. Lì ho fatto dei progetti con il collettivo Res Publica Temporanea. Abbiamo lavorato alla qualità del disegno era un progetto più politico che estetico. E’ stato un modo per opporci, con dei simboli ben precisi, all’utilizzo che si sta facendo di quel quartiere, un utilizzo che, secondo me, è da sciacalli. Quel quartiere è stato saccheggiato e, invece, bisognerebbe conservarlo e tenerserlo stretto soprattutto nel rispetto delle persone che vivono ancora lì».

Meglio guardare un bel disegno che un brutto muro?

«Tutto è relativo. Per come la vedo io, il disegno va sempre inserito nel contesto non solo del muro, ma anche del luogo in cui sta. Ci sono muri che hanno dei bellissimi disegni ma che “stonano” con tutto il resto, ecco, lì penso che forse sarebbe stato meglio il brutto muro. Un disegno, secondo me, deve entrare nel contesto senza fare violenza al luogo, dove violenza potrebbe essere l’uso dei colori. Se sei in un luogo di mare che ha delle sue tonalità, non puoi arrivare lì e fare una una cosa che non c’entra nulla. Ultimamente la street art, essendo stata molto usata, ha fatto tantissimi di questi errori. Si chiamano artisti bravi ma, a volte, non tutti hanno quella sensibilità di capire dove si trovano».

Un giudizio sui silos del porto di Catania?

«Singolarmente mi piacciono molto, tranne qualcuno ma, secondo me, bisognava pagare gli artisti. Che io sappia, non li hanno pagati, al massimo un rimborso spese, però per lavori del genere che sono faticosi e io so quanto, su quella superficie e di quelle dimensioni… Quello di Vils (l’artista Vils un uomo che guarda il mare disegnato sul lato B dei silos ndr) lo apprezzo un po’ meno».

Si può campare di street art?

«Al momento no, è molto difficile, almeno qui in Sicilia. E’ come se non fosse visto come un lavoro. Ti dicono “è una tua passione” e non accettano i preventivi, comunque miseri, che uno presenta. Io, ormai, quando si tratta di lavori importanti ho smesso di farli se non viene accettato il preventivo, è una questione di dignità del lavoro, so io con quanta fatica si fa, quanto lavoro ci voglia per far quei disegni. Non è solo una questione di pratica c’è tutto il progetto a monte e quello è, secondo me, la parte più difficile. Catania è una delle città più attive al sud, ha fatto nascere tantissimi artisti qui in Sicilia più che a Palermo, Lì c’è tantissima street art ma sono artisti che vengono prevalentemente da fuori. A Catania ci sono tantissimi artisti capacissimi come Antonio Anc, che è catanese e che stimo moltissimo. E’ bravissimo, e qui non è affatto riconosciuto. Qui abbiamo dei talenti che definire sprecati mi pare poco.

I suoi l’hanno sempre incoraggiata?

«Mi hanno sempre sostenuto nelle mie scelte anche se, quando ho cominciato, ce ne voleva per aver fiducia in quello che facevo. Ancora non esisteva la street art in Sicilia, era quasi un atto vandalico, non era un vero lavoro».

Un sogno?

Viaggiare e sistemarmi con la street art. Nel futuro mi vedo sempre nomade, street artist, e mi vedo girare per l’Europa, ma anche avere un posto mio dove fermarmi, e questo posto è Catania. Lo street artist continuerò a farlo, ma non so se sarà il mio lavoro per sempre».

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