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Il vecchio San Berillo ora accoglie la gente: varcare quel confine non è più un tabù

Di Pinella Leocata |

Il pubblico è vario, come per tutti i reading. Ci sono signore borghesi, donne impegnate nel sociale, professionisti, docenti e tanti giovani. Per molti è la prima volta a San Berillo, richiamati dal passaparola su Facebook e dalla curiosità sollecitata dai tanti film che negli ultimi anni hanno avuto il quartiere come controverso protagonista. Una signora è qui solo per Franchina. L’ha sentita parlare in qualche documentario, ne ha seguito gli incontri sul Vangelo che tiene qui, a San Berillo, a pochi metri dal basso dove si prostituisce. L’ha ascoltata e ne è rimasta colpita. «Le sue parole mi hanno fatta riflettere, ho capito che buona parte della responsabilità di tante situazioni è nostra, delle famiglie. Franchina è una persona che merita un grande rispetto. La società dovrebbe chiedere scusa a queste persone».

Alcune sue amiche hanno declinato il suo invito, non se la sono sentita di addentrarsi tra le stradine del quartiere. Altre signore hanno scelto di varcare quel confine convinte che «il vero problema è il perbenismo, il maschilismo e l’ipocrisia». Per questo hanno scelto di esserci, pur sospettando che tra quanti seguano questo genere di incontri ci sia chi «è spinto da morbosità, quasi che prostitute e trans fossero fenomeni da baraccone».

Un giovane uomo, che si è fatto convincere dalla moglie, sostiene che queste iniziative di “Trame di quartiere” sono positive per rivitalizzare San Berillo, che contribuiscono alla rinascita del quartiere a partire dalle persone che vi abitano. «Anche se sarebbe importante riportare qui gli artigiani e le altre attività di un tempo».

Molti dicono che incontri di questo tipo sono un’occasione per tanti catanesi di conoscere una parte della città che considerano infrequentabile. Altri sono colpiti dai murales dipinti sulle porte murate dei bassi. I giovani concordano che “più persone vengono da fuori, più il quartiere si riqualifica». C’è chi è stupito dallo stato di abbandono di un quartiere antico. «E’ a pochi passi dal Teatro Massimo Bellini. In qualunque altra città non sarebbe stato lasciato così». E c’è il palermitano entusiasta dello spazio dell’incontro reso fruibile, ma lasciato com’era in modo da raccontare la sua storia. «Questa sede è roba da Biennale dell’archittettura», osa.

FOTOSTORIA DEL QUARTIERE A LUCI ROSSE

Roberto Ferlito, uno dei promotori dell’associazione “Trame di quartiere”, racconta che c’è sempre tanta gente ad ogni iniziativa che propongono. «E’ come se le persone cercassero una scusa per entrare nel quartiere. Abbiamo risposto ad un bisogno. Abbiamo aperto uno spazio in un posto stigmatizzato e questo intriga. Anche se poi capita chi ci telefona dicendoci se possiamo andare a prenderlo in via Ventimiglia perché non se la sente di attraversare da solo il quartiere… e chi arriva per un incontro seguendo l’indirizzo, ma senza sospettare che si trovi a San Berillo».

Intanto Franchina è bersagliata da domande. Perché ha iniziato a fare questo mestiere? C’è differenza tra amore omosessuale ed eterosessuale? Ha paura? Che effetto fa vivere in una casa aperta, sulla soglia? E mai stata innamorata? Franchina risponde, diretta, spiazzante, e nel parlare di sé parla del quartiere dove vive da 35 anni, «un matrimonio collaudato». Ne racconta le storie, le persone e i simboli, come il “pisolo” – che «per tutti è solo un punto di passaggio e per me il luogo dello stare, delle lunghe attese fatte di ore, giorni, anni» – o la sedia che segna la presenza, fa da barriera, da scala e da strumento di difesa in caso di necessità. I simboli di San Berillo che «se fosse uno stato sarebbe anarchico. Se avesse una bandiera sarebbe l’arcobaleno. Se fosse una fabbrica sfornerebbe peccati. Se fosse una casa avrebbe quattro porte. Se fosse un quartiere… questo è San Berillo».

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