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Catania, la lezione di Isabel Allende: «Migranti si diventa per ragioni dolorose»

Di Carmelita Celi |

Giacca arancione “elettrico”, collana in stile precolombiano, gli occhioni intensi di sempre sotto alla zazzeretta da ragazza (sono 75 ma tutto è relativo), la scrittrice cilena è stata destinataria illustre del Premio Sicilia (un Cola Pesce in argento e corallo) fortemente voluto dall’assessore regionale a Turismo, sport e spettacolo, Anthony Barbagallo che ha portato i saluti del ministro Franceschini e dell’ambasciatore cileno in Italia, Ferdinando Ayala. La conversazione di ieri, densa di ragione e sentimento, è stata, in un sol colpo, l’anteprima della nuova stagione di Taobuk, creatura di Antonella Ferrara ed il primo evento – non senza la complicità della direttrice del Polo museale, Maria Costanza Lentini, l’assessore alla cultura del Comune, Orazio Licandro, il sovrintendente del Teatro Bellini, Roberto Grossi – del cartellone estivo del Teatro Romano.

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Esto es muy impresionante”. È sorpresa, doña Isabel, dalla standing ovation che l’accompagna sul palco (dove risponderà alle domande di Alessandra Coppola del “Corriere della Sera”) già abitato dalle note della “Meditation de Thais” con il Vito Imperato Quartet e dalle parole di “Paula” e “La casa degli spiriti” officiate da Donatella Finocchiaro. Più “impresionante” è, però, l’abilità naturale e filosofica ad un tempo con cui la Allende disegna e insegna le sue genealogie emotive. Abuelas, madres, hijas, nietas: nonne e nipoti passando per madri e figlie senza che nulla abbia il retrogusto dolciastro e prevedibile dell’apologia o dell’agiografia. Macché.

Il primo anello della cadena femenina è nonna Isabel Barros, l’ultimo – ma è primo nel cuore spezzato dalla sua morte prematura – è la figlia Paula, piccola immensa leader di una rivoluzione senza fine: «Solo se tiene lo que se da»”, si possiede solo quel che si è dato.

Onora il suo rito di sempre e da sempre, la Allende, che è come dire: «Se non scrivo, non succede». Sicché le sue donne “succedono” e si succedono con ironia forsennata e misuratissima. Una nonna da leggenda che svuota la prima culla rosa della clinica sicura che si tratti di sua nipote («Le neonate sono tutte uguali, somigliano a Churchill!» e così regala involontariamente ad Isabel la sensazione d’essere la bambina sbagliata e di vivere la vita di qualcun’altra) e la cui morte trasforma il nonno in una sorta di maschile Bernarda Alba di Garcìa Lorca, casa interamente dipinta di nero per otto anni di lutto.

La cadena ne scioglie molte altre, in testa quella del machismo inevitabile a cui non si sottrae certo il suo Cile, amato cento volte e cento volte scelto su tutti. Finalmente femminista, la giovane Allende, ma con l’approvazione appassionata (purché non lo si dicesse a voce troppo alta davanti a tutti) di sua madre Panchita, oggi lucidissima novantaseienne.

E aristotelicamente o no, Isabel è un animale politico: a violenza ed ingiustizia risponde lealtà e solidarietà e un sonorissimo, liberatorio: «Odio a Trump!». E aggiunge, ferma: «Nessuno scappa per suo piacere. Rifugiati e migranti si diventa per ragioni dolorose. Non c’erano rifugiati siriani, un tempo, oggi fuggono dalla guerra. Non c’erano profughi venezuelani ma ora molti chiedono asilo al confine con il Cile. Vivo in America da trent’anni e mi è andata bene ma è uno strano Paese. Su un bus di Portland, un bianco insultava una ragazza musulmana: un veterano, un poeta, uno studente si sono alzati a difenderla, rappresentando il meglio degli Usa. Ma il peggio del Paese, il terrorista bianco, ha tirato fuori un coltello e li ha fatti fuori».

Se non scrive, non succede.

Il rapporto con la madre succederà all’infinito grazie ad un epistolario digitalizzato, 600 lettere moltiplicate per 30 casse («Se lei morirà prima di me potrò continuare a parlarle leggendo una sua lettera al giorno»). «Escribo como vivo. Non scriverei mai un romanzo su Wall Street». L’unico modo per avere una vita comprensibile e maneggevole? Scrivere, insiste. Ma anche innamorarsi. E a tutte le età. Nei romanzi (il suo “El amante japonés” parla d’amore tra ottantenni) e nella vita. La sua. «Ci s’innamora del cuore non del corpo. Il mio Roger ha 74 anni e nudo non è un bel vedere. Neanch’io nuda, del resto. Ma a questo servono il lume di candela, la marijuana…». Impresionante Isabel.

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