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Giobbe Covatta e la sua “Commediola” al Gatto Blu

Di Carmelita Celi |

L’uomo del Càvusu (e Gian Maria detto Giobbe del caos è cittadino da sempre) c’entra eccome giacché “La Divina Commediola” di Covatta sembra “l’innesto” pieno d’amore e d’amore per l’integrità etica e per la ricerca della verità nella “pianta” provatissima e abusata del mondo. Che, a questo punto, come la Laura pirandelliana, non può né vuol più pensare ad “abortire”.

Bertone che è condannato per aver fatto costruire per sé un lussuoso attico che in fondo “aveva voluto per stare più vicino a Dio” e Berlusconi che, dopo aver baciato le “olgettine”, bacia gli agnellini. “Il tratto comune tra le due cose? La pecorina”.

Basta una vera lavagna (nera! Con vero gesso e vero “cancellino”) a sinistra, un leggìo a destra e la “lezione” può partire giacché in mezzo, prima, durante e dopo c’è lui, la storica barba da patriarca, i capelli raccolti in uno di quei ferma-chignon che usano le ballerine di danza classica, gli occhiali tondi e bene in vista la maglietta Amref (African Medical and Research Foundation, “Terzo Mondo”, dice, “ed è sempre un buon piazzamento perché comunque il terzo sta sul podio”) che è per lui e per la moglie Paola Catello (che più volte ricorre nell’esegesi della sua “Commediola” in quanto compagna d’avventura ed anche sceneggiatrice in proprio) un modo di vivere il pianeta da lunga pezza. E con accortezza e umanità rarissime.

Non è un “professore”, un insegnante, forse, sicuramente un maestro d’osservazione critica che non fa sconti a nessuno – sé stesso in testa – e poesia satirica in versi. Più comico-realistica che stilnovista, direbbero le antologie. Ma fa poca differenza, hic et nunc. Per Covatta, piuttosto, così come per l’enorme Paolo Villaggio, a fare la differenza – con tutto il rispetto per chi sa tener banco “solo” grazie a testi scritti, cotti e mangiati per la scena – è l’esperienza letteraria (in principio fu “Parola di Giobbe” ed era il 1991). E’ la frequentazione ininterrotta della scrittura, la cognizione del dolore traslato in parola scritta, detta e giocata in scena, a teatro, cinema, persino in tv e persino quella del Cavaliere quando un “salotto” riusciva ad essere agorà di talenti ed opinioni e non “ospitate” di opinionisti dello spessore di Belèn Rodriguez. E’ tutto questo a dare all’ingegno di Covatta un’ingegneria verbale solidissima su cui Giobbe si muove da funambolo…terragno.

“O vero”, disse il Duca dal suo banco. “Fin da bambino ci avevano avvisato: se fai il cattivo arriva l’Uomo Bianco e mangia tutto! Infatti così è stato”.

La “Divina Commediola”, trovata in una discarica, è del 1279 a firma di Ciro Alighieri (fa rima con Santi Licheri ma Ciro sa più di letteratura di quanto Santi sapesse di diritto). Della più celebre “Commedia” è versione apocrifa e dedicata ai diritti dei minori. Il che fa rima baciata (e abbracciata) con la Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

“Adottare bambini africani? Ma sono loro che adottano te!”. Forse è la frase più folgorante dell’imperdibile e “scomoda” lezione di un’ora e mezza, ma ve ne sono a centinaia di paragrafi fulminanti sull’ “inferno dei bambini spersi” dove “non c’è Caino, chi ha tradito sta a casa sua, qui ci sono solo le vittime”.

Come la bottiglietta di “Alice nel paese delle meraviglie”, il “Giobbe reading” contiene di tutto e chissà quanto facile da digerire: lezioni d’educazione sessuale (neuroni di lui, mal di testa di lei) ed anatomia (“la cervella” di Bossi e Maroni), di (ab)usi e (s)costumi, di auguri (“Giustizia serve a questo continente, disse Virgilio con occhi come stelle”) e scongiuri: “Non temo il Salvini in sé ma il Salvini in me”.

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