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Sergio Cammariere: «Il mio sound tra Paoli e il jazz»

Di Gianluca Santisi |

Doppia data siciliana per l’“Io Tour” di Sergio Cammariere che sarà stasera al Teatro Garibaldi di Enna (sold out), e domenica al Teatro Impero di Marsala. Concerti che raccolgono tutto il mondo musicale del cantautore calabrese, dai grandi successi, sanremesi e non, sino agli ultimi album. «Sarà una bellissima festa – anticipa – per condividere gioia, passione e sentimento. Ci sarà la mia storica band – Amedeo Ariano alla batteria, Bruno Marcozzi alle percussioni, Luca Bulgarelli al contrabbasso e Daniele Tittarelli al sax – e neanche noi, quando saliamo sul palco, sappiamo esattamente cosa faremo».

Solitamente, però, inizi i tuoi live con “Tema di Malerba”, contenuta nel tuo ultimo album, “Piano”.

«È un disco uscito da pochi mesi che rappresenta la mia essenza perché sono da solo al pianoforte, senza voce. Sedici tracce strumentali. È stata una bella prova, ci ho messo cinque anni a finirlo».

Perché tutto questo tempo?

«A volte i brani hanno bisogno di una certa decantazione, di un’ultima pennellata. Adesso erano pronti per essere pubblicati, significa che stavano bene».

Ti abbiamo rivisto a Sanremo, questa volta in duetto con Nina Zilli.

«Ci sono stato quattro volte, due da protagonista nel 2003 e nel 2008, e altre due da ospite: nel 2007 con Simone Cristicchi, che poi ha vinto, e poi quest’anno con Nina».

Il brano non è “arrivato” al pubblico…

«Io trovo che il pezzo sia valido. Quando l’ho ascoltato ho accettato subito di farne una versione a due voci. Possiamo condividere o no l’espressione del voto delle varie giurie, però Sanremo è comunque una vittoria, partecipare è sempre qualcosa di molto gratificante per ogni artista».

Qualche giorno dopo sei tornato in tv, a “Domenica In”, per un omaggio a Fabrizio De André. Cosa rimane oggi di Faber?

«Rimane molto. Ho cantato “La città vecchia”, un brano che restituisce dignità a chi è rimasto indietro, una canzone sui diversi, su quelle persone che non è facile catalogare. Con Fabrizio De André ci si trova ad andare oltre la musica, il testo, la poesia. È come aprire una finestra sul cortile. Un cortile rumoroso che contiene il mondo intero. C’è l’umanità che si confronta con la vita e la morte».

Oggi, però, non è un buon momento per il cantautorato. I “numeri” li fa il rap.

«Trovo invece che il cantautorato sia molto vivo. Abbiamo avuto delle nuove espressioni da parte di Brunori Sas, Levante e altri. La canzone d’autore non morirà fino a quando verrà eseguita sempre in un modo nuovo, diverso, con un approccio più jazz. In fondo, a New York, tutti i grandi jazzisti adorano i cantautori e adorano suonare sulla loro musica».

Ti lancio una provocazione: non è che i cantautori non sono più in grado di parlare ai giovani?

«È cambiato forse anche il linguaggio quindi alcune provocazioni tipiche dei rapper fanno leva sulle giovani generazioni. Ce ne sono alcuni che non mi dispiacciono, come Salmo e Nitro, senza dimenticare Frankie Hi Nrg, Jovanotti, Caparezza… Ma in De André e Guccini c’è la massima espressione poetica del linguaggio. E poi ci sono i cantautori che fanno anche la musica, come Sergio Cammariere, al quale piace tanto la letteratura ma si sente più un battistiano, un dalliano. Sono più vicino a Pino Daniele, per capirci, o a Gino Paoli. Lui è il maestro di tutti, il gran capo».

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