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A Messina e al Ma di Catania arriva la “guerra del rock” degli Zen Circus

Di Gianluca Santisi |

Gli Zen Circus arrivano in Sicilia per la chiusura della prima parte del loro fortunatissimo tour invernale, segnato da numerosi sold out e un eccezionale concerto davanti ai tremila spettatori dell’Atlantico di Roma, che ha avuto come ospiti Nada, Motta e Giovanni Truppi. La rock band toscana sarà di scena domani sera al Retronouveau di Messina e sabato al Ma di Catania. La novità di questo tour è la presenza sul palco di un quarto elemento, Francesco Pellegrini, che affianca lo storico trio formato da Andrea Appino (voce e chitarra), Ufo (basso) e Karim Qqru (batteria). «Una soluzione che ci sta regalando grandi soddisfazioni – dice Appino – perché finalmente, dopo tanti anni, ci consente di portare dal vivo pezzi che sono stati scritti per essere suonati con due chitarre».

  Che live sarà?

«Un live lungo due ore in cui non ci concentriamo solo sull’ultimo disco ma mescoliamo le carte, alternando brani nuovi e vecchi».

Sono passati tre mesi dall’uscita de La Terza Guerra Mondiale. Ti offro uno spunto: mi sembra più immediato rispetto a Canzoni contro la natura.

«Sì, ci sta come riflessione. E in realtà è una cosa voluta. Sapevamo che Canzoni contro la natura avrebbe avuto bisogno di più tempo. Questo, invece, è andato da subito incredibilmente bene. Il successo di questo disco non era affatto scontato: non siamo una band che genera hype e non è detto che ogni album debba andare sempre meglio. Siamo rimasti decisamente sorpresi, soprattutto dal punto di vista della partecipazione ai live, ma non credo sia merito solo del disco nuovo. Probabilmente è un percorso di crescita continuo».

Avete ridotto la strumentazione all’osso e lavorato tanto sulla produzione dei suoni.

«Già dagli ultimi due dischi mi occupo anche della registrazione e del missaggio ma questo è il primo che abbiamo fatto nel mio studio. Ciò mi ha dato la possibilità di usare tutto quello che volevo e ci siamo presi tutto il tempo necessario, un anno di lavoro. Volevamo fare un disco suonando solo i nostri strumenti, basso chitarra e batteria, ma non limitandoci a quello. Abbiamo messo dentro un sacco di suoni. Anche quando sembra ci siano tastiere sono in realtà voci passate in un vocoder o chitarre stravolte. È stata una sfida che mi sono posto più da produttore che da musicante».

Sia dal titolo che dalla copertina appare chiara l’impronta tematica…

«È stata una cosa venuta fuori strada facendo. Come sempre nei nostri dischi, a parte poche eccezioni, la musica arriva sempre prima dei testi. Non è infrequente per gli Zen avere cinquanta brani con melodie cantate “nananana” o in finto inglese e tenerli lì per due o tre anni prima che arrivi un testo a inquadrarli. Questo disco è stato molto lavorato musicalmente e solo dopo mi sono preso il tempo necessario per i testi. Il nesso comune tra le canzoni mi è sembrato chiaro quando ho scritto il testo de La Terza Guerra Mondiale. È stato un lungo lavoro di analisi: volevo parlare del perché gli esseri umani tendono ad essere empatici, ad avvicinarsi, a regalarsi grandi cose solo in momenti di grande disastro. La Terza Guerra Mondiale può essere intesa anche come una grave malattia, come in Non voglio ballare, dove si parla di una ragazza che sta facendo chemioterapia…».

Da diciotto anni sulla scena, cosa vi dà nuovi stimoli?

«Prima di tutto i ragazzi che ci seguono. Sono incredibili. Mai come quest’anno questa cosa ci ha uniti. Abbiamo sempre lavorato nel nostro piccolo, con risultati sempre migliori ma mai sotto la luce dei riflettori. In diciotto anni di carriera c’è sempre stata una band dell’anno, e non siamo mai stati noi. Questo ci ha permesso di lavorare in condizione di tranquillità totale, di fare le cose che più ci piacciono e senza lo stress di grandi aspettative».

Questa volta però avete risvegliato l’attenzione della tv generalista. Mi riferisco, per esempio, alla vostra partecipazione a Quelli che il calcio.

«In parte è dovuto al fatto che quest’anno avevamo un’arma a doppio taglio come L’anima non conta, un brano che ha fatto breccia anche in un pubblico che non ci ha mai ascoltato. Non abbiamo mai fatto una ballad del genere, pur essendo, secondo me, un pezzo molto Zen perché ha le sue radici nel rock anni Settanta. Inoltre in questo momento la musica indie, definizione che non mi piace affatto, muove numeri importanti. Abbiamo un folto pubblico ormai da anni ma mai come negli ultimi tempi ci siamo trovati in situazioni di 3 mila paganti o di sold out ovunque. Rai Tre ha fatto un servizio su di noi e probabilmente andremo anche da Fazio. C’è molta attenzione da parte della tv ma sappiamo che potrebbe durare poco. Sicuramente non ci cambia la vita».

Come sarà il 2017 degli Zen?

«Suoneremo tanto. Ci fermiamo dopo le date siciliane per un mese, poi fino a maggio faremo date più defilate in provincia. D’estate saremo di nuovo in tour e poi, sinceramente, stiamo scrivendo tantissimo e quindi non è impossibile che ci si ritrovi con un nuovo disco tra non troppo tempo».

gianlucasantisi@gmail.com

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