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Una banca in cui si firmano assegni che valgono “emozioni”

Di Carmen Greco |

E’ il “tempo che vuoi”, quello che dedichi agli altri e che, agli altri, chiedi in cambio. E’ su questo “do ut des” dell’anima che si basa il meccanismo della Banca del Tempo, un piccolo “miracolo” che a Sant’Agata Li Battiati trasforma in amicizia il saper fare delle persone, qualunque esso sia.

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Oggi sono una settantina ad animare la Banca del Tempo, un gruppo nato per la coinvolgente, gioiosa testardaggine di Marcella Franchino che cinque anni fa, dopo una vita divisa tra l’impegno di insegnante elementare e di psicoterapeuta, si è messa in testa di ricostruire quella che una volta era la vita solidale di una comunità, in fondo il principio della Banca del tempo. «Noi non facciamo volontariato – precisa la fondatrice – sono le persone che fanno parte della Banca del Tempo che si aiutano tra loro. Il volontariato è cosa diversa: ci sono delle persone che fanno qualcosa per altre particolarmente disagiate e queste ultime ricevono e basta. Nel nostro caso è un dare e ricevere, e non importa se una visita medica viene ricambiata con un’ora di stiratura di camicie. La cosa bella è proprio questa, chi riceve non si sente quello sfortunato cui viene fatta l’elemosina, perché sa che potrà ricambiare con quello che sa fare, anche una semplice torta. Questo è molto importante dal punto di vista psicologico perché mette chi dà e chi riceve sullo stesso piano. Non c’è il ricco che elargisce magnanimamente al povero con il rischio che quest’ultimo diventi un parassita, cosa molto diffusa in Sicilia. Lo scambio attuato dalla banca del tempo è anche un modo per risvegliare gli animi, per far capire che tutti possono fare qualcosa. Come si faceva anticamente nelle comunità rurali, quando la gente si aiutava. Se il medico andava a fare una visita in campagna veniva pagato con le uova o la gallina ruspante. I poveri, comunque, si disobbligavano, era un modo di dire grazie. In fondo è questo quello che facciamo noi. Ho scoperto che dove non c’è il denaro di mezzo, viene fuori la generosità delle persone, la gente si sente felice di dare e anche di ricevere».

«Curiosamente io sono un ex bancario – dice Filippo Mocciaro – ora continuo a lavorare al di fuori del sistema. Nella Banca del Tempo ho trovato un mondo bellissimo fatto di relazioni veramente disinteressate, cosa che nel mondo del lavoro non avviene spesso. Il tempo non ha prezzo ed è il contrario del denaro, quello che non si può comprare. Io ho avuto assegnato un pezzo di orto ed è una terapia fantastica. Sono convinto che uno impara a non buttare più nulla se capisce la fatica che ci vuole per far crescere una lattuga. Questa in realtà è un’antibanca, una provocazione. Chi ha scelto il nome ci ha azzeccato, la gente ha voglia di stare insieme, è un modo di trovare nuovi amici in modo sano e intelligente».

Piera Mazzaglia lavorava all’Agenzia delle Entrate e dedicava (e tuttora dedica) il tempo da volontaria dell’Avulss con i malati terminali «ma, da sempre – racconta – sentivo che mancava qualcosa a questa mia esperienza. Avevo bisogno anche di qualcos’altro che mi rendesse, più allegra, più viva, con i malati terminali sei inevitabilmente a contatto con la morte. Così, tramite mia figlia, ho partecipato un anno fa ad una festa della BdT e ho trovato quello che cercavo. Mi sono sperimentata nel corso di pittura, nel canto, ho partecipato alla riuscita di eventi, è come se avessi trovato una famiglia».

Maria Di Guardo, è la figlia di Piera. Separata con due figli, ed è una delle impiegate licenziate del call center Qè di Paternò. «Ho perso il lavoro dopo 12 anni, il 28 novembre dell’anno scorso. E’ stato un momento difficile, ma ero già socia della Banca del Tempo e ognuno di loro ha dato un contributo per affrontare questo mio malessere. In quel periodo mi sono occupata di accompagnare un socio che aveva difficoltà di deambulazione questo mi permetteva di aver un impegno, di essere occupata in qualcosa, io gli davo le mie ore, qualcun altro mi ricambiava, per esempio, aggiustando un elettrodomestico che si guastava e che non potevo far riparare anche per le difficoltà economiche. Anche il fatto di poter condividere una difficoltà ti permette di vedere le cose con una prospettiva diversa. Adesso sono in mobilità, ma ho ripreso a studiare, sto seguendo un corso di naturopatia».

Gina Tuzza, vicepresidente e sociafondatrice della BdT, lavora come pediatra a Francofonte, dove ha l’ambulatorio e vive a Catania dove, tra l’altro, si occupa anche di fare la volontaria per la Croce Rossa Italiana. Per la Banca del Tempo mette a disposizione la sua professionalità di pediatra, ma anche quella di “pasticcera”. «Amo fare i dolci, soprattutto le torte, quelle scenografiche, tipo americane». Ha una figlia di 27 anni che vive a Glasgow, un altro figlio di 21 anni che studia Medicina a Catania e con la sua famiglia ha adottato anche un ragazzo bielorusso. «Dare tempo significa anche ricevere – sostiene -. Io dò molto, ma ricevo anche molto. Anzi, qui ho imparato a ricevere».

@carmengreco612

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