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La forza di Laura Salafia, esempio di vita

Di Giuseppe Di Fazio |

S’intitolava “Il coraggio della vita” l’articolo con cui, l’antivigilia di Natale del 2011, Laura Salafia avviò la sua collaborazione con La Sicilia. Quel testo ci scosse dal torpore e, nel pieno di una crisi epocale, infuse speranza ai nostri lettori. “Voglio scrutare la bellezza della vita, voglio ardentemente vivere, voglio cancellare la malinconia negli sguardi di papà e mamma”, scriveva la giovane di Sortino da un letto di ospedale, dopo che una pallottola andata fuori bersaglio nel luglio del 2010 le aveva frantumato i sogni di un avvenire radioso.

L’articolo del dicembre 2011 fu il primo di una serie, la pagina iniziale di un diario pubblico che è durato fino al presente. Laura ci ha accompagnato con le sue riflessioni in questi sei anni, aiutandoci a non restare alla superficie dei fatti, a non arrenderci davanti alle difficoltà, a non usare mai il nostro piccolo potere per sfruttare gli altri.

Dopo quella prima testimonianza, la vita di Laura ha subìto una svolta che ha influenzato anche il nostro lavoro di giornalisti. Fu allora, infatti, che cominciammo a capire realmente che non si può trasformare una tragedia in reality, non si può considerare una vittima della violenza umana come un oggetto di un’informazione morbosa.

Gli articoli scritti da Laura in questi anni diventano ora un libro (Laura Salafia, “Una forza di vivere”, Domenico Sanfilippo editore) che sarà distribuito da mercoledì 13 dicembre assieme a La Sicilia e in cui la giovane di Sortino racconta di sé e legge con una sensibilità inusuale i drammi della società contemporanea.

Nella storia di Laura, e perciò anche nel libro, sono entrati in particolare tre personaggi. Anzitutto una suora benedettina di clausura (suor Cecilia, che firma la postfazione), con cui è nata una bella amicizia e che, assieme alle consorelle, ha ospitato in monastero per un anno gli anziani genitori della giovane. Strano a dirsi, ma a far parte della storia di Laura è entrato anche un ergastolano che, commosso dalla vicenda della giovane ridotta tetraplegica da una sparatoria fra balordi, ha tenuto una corrispondenza epistolare con lei e, in forza di questo dialogo a distanza, ha ripreso a studiare: si è diplomato e ora, dal carcere in cui è rinchiuso, sostiene esami per l’Università. Infine, Laura ha incontrato e, poi, “adottato” un gruppo di bambini di un quartiere popolare degradato di Catania, per i quali ha organizzato in varie circostanze gite e momenti di convivenza.

Colpisce, al termine della lettura, come una giovane tetraplegica inchiodata alla carrozzina o a letto sia stata in grado di inseguire sempre i suoi desideri più profondi, come quello di andare a Roma per incontrare il Papa, e di creare in chiunque l’abbia accostata una riconciliazione con la propria umanità.

Durante un incontro pubblico, uno studente ha chiesto a Laura come facesse a vivere serena e piena di speranza pur costretta a letto senza essere più padrona del proprio corpo, mentre lui era triste e vuoto pur potendo andare a ballare, a giocare a calcio, e pur godendo di tutti gli agi della vita. In questo libro la giovane di Sortino svela il suo segreto. E nella sua esperienza particolare, una storia minima se volete, c’è tuttavia una promessa di cambiamento per tutti noi, che infonde speranza a un mondo che sembra precipitare in una delle crisi più cupe degli ultimi decenni.

Sono molti, infine, coloro che Laura ringrazia, perché sa di dover dipendere in tutto dagli altri: i genitori, gli amici, i medici, gli infermieri, i terapisti. Eppure chiunque l’aiuta, misteriosamente riceve sempre più di quanto dà. Per questo, ancora una volta, siamo noi a dover dire grazie a lei.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA