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Capo Passero, quell’incanto tra fortezza, tonnara e natura

Di Tony Zermo |

A Portopalo di Capo Passero c’è un tesoro attualmente coperto di muffa e con la zona intorno intasata dalle onduline di amianto: è la fortezza aragonese costruita dal re di Sicilia Filippo II nel 1611 sulla scogliera di Capo Passero. L’ex assessore regionale ai Beni culturali Lino Leanza, scomparso un paio di anni addietro, la fece rimettere a nuovo per la terza volta spendendo una dozzina milioni della Regione perché doveva servire per convegni d’alto livello, ma dopo un’estate promettente è rimasto praticamente chiuso nelle mani di nessuno. Anche la cooperativa di giovani della vicina Pachino che avrebbe dovuto gestirla ha rimesso l’incarico dopo una stagione. La Soprintendenza di Siracusa, non si sa bene perché, non si è mai curata molto di questo antico maniero. Stiamo parlando di un luogo magico perché ci troviamo nell’ultima frontiera d’Europa. Se guardate la carta geografica risulta più a sud di Tunisi. Ed è uno scrigno di incomparabile bellezza perché qui si incontrano due mari in una quiete che una volta veniva interrotta solo dalle grida dei tonnaroti nei giorni della mattanza.

Chi non è mai arrivato qui non conosce l’incanto del mare che diventa storia millenaria, perché su questo lungo scoglio dove insiste la fortezza spagnola gli antichi greci si posizionavano al passo dei tonni che infilzavano con lunghe lance. E’ una storia che vi ho raccontato altre volte, ma che ogni volta mi commuove. Pensate che duemila anni fa i greci che avevano colonizzato l’isola catturavano questi grandi pesci che poi le loro donne tritavano trasformandoli in speziato «garum» per le mense dei romani. Quando gli abitanti morivano, i corpi venivano conservati in loculi di muratura che anni fa abbiamo visto al di là dello stradone.

Poi gli uomini dei secoli più recenti organizzarono le gabbie della morte per intrappolare i tonni e farne mattanza a bordo degli «scieri» comandati dal raìs. Un vecchio mondo che è scomparso assieme al defunto amico don Pietro della nobile casata ragusana dei Bruno di Belmonte. Lui è morto anzitempo, sospettiamo di crepacuore perché i tonni, che erano passati in quelle acque per milioni e milioni di anni, ad un certo punto smisero di farlo (e di colpo scomparve la mattanza). Non si sa perché tutto questo sia accaduto, forse – sospettava don Pietro, ma non è dimostrabile – per lo stabilimento di acquacoltura del cavaliere Alfio Puglisi Cosentino posizionato un paio di chilometri prima. E ad aggravare questa pena nel cuore, lui che era padrone del mare e di quel pezzo di terra lambito dalle acque, il divieto di entrare nel «suo» scoglio di Capo Passero diventato riserva naturale con decreto regionale. Una volta ci approdai con un pattino noleggiato da «Pippo pedalò» con cui coprii quei 50-60 metri di distanza tra la costa e lo scoglio-fortezza.

Questa situazione per anni è rimasta immobile. Ora, secondo alcune voci, che provengono anche dall’amministrazione comunale, ci sarebbe un gruppo di Mantova in trattative per l’acquisto della tonnara, del capannone dove sono conservati i vecchi «scieri», dello stabilimento dove per un certo periodo si fece il tonno in scatola. Il «pacchetto» comprenderebbe anche la bella casa estiva di don Pietro a ridosso del mare e assieme ad essa le piccole case dei tonnaroti. La voce che circola riguarda anche il prezzo: 8 milioni per l’acquisto e 20 milioni per la realizzazione di una infrastruttura turistica. Abbiamo chiesto all’erede di don Pietro, Francesco dei Bruno di Belmonte, se la voce fosse vera, ma la risposta è stata negativa: «Magari… ».

Fatevi un quadro d’ambiente: la riserva naturale con la fortezza aragonese sostanzialmente abbandonata. Accanto la tonnara considerata la più antica del mondo. Poco più in là, ancora più a sud, ancora più vicina all’Africa, l’isola delle Correnti. Basterebbe questo per far capire la suggestione dei luoghi, con un silenzio miracoloso e una brezza di mare che non sai se arriva dallo Jonio o dall’Africa.

Se c’è un luogo in cui puoi credere di sentire le sirene, è questo. Ma c’è ancora qualcosa da aggiungere, non solo lo stabilimento di acquacoltura del cavaliere Puglisi Cosentino, ma anche il cosiddetto «castello Tafuri», un palazzo di colore rosso piantato sugli scogli e che per anni era rimasto un mero patrimonio di famiglia del farmacista di Pachino. Ora lo hanno trasformato in B&B di classe, con degli appartamenti molto richiesti. Il mare di scoglio è sotto i piedi, la spiaggia di sabbia è ad appena 300 metri sotto la piazza dei Due Mari. Il turismo è arrivato nell’angolo più remoto d’Europa, piccolo, ma carico di memorie e di suggestioni. E non so dirvi se sia un bene.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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