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Le Province sono state abolite, i costi no

Di Luca Ciliberti |

Catania. Quanto costano oggi le ex Province? L’abolizione dei cosiddetti enti intermedi ha portato benefici e risparmi nelle casse della pubblica amministrazione in Sicilia? Partiamo da alcuni dati complessivi prendendo in analisi le ex Province delle attuali città metropolitane, Catania, Palermo e Messina.

La cura dimagrante c’è stata, anche se le spese sono ancora sostenute. Nel 2009, primo anno intero di amministrazione da parte delle rappresentanze politiche elette attraverso le consultazioni provinciali del giugno del 2008, Catania spendeva complessivamente 149.056.135,64 euro ed era guidata da Giuseppe Castiglione. La Provincia di Messina, presieduta da Nanni Ricevuto, costava “solo” 100.421.933,91 euro, Palermo invece 208.433.192,59 euro, l’allora presidente era Giovanni Avanti.

Ci si sarebbe aspettato che queste cifre milionarie, a partire dal 2013, anno della tanto attesa abolizione delle Province, si sarebbero ridotte drasticamente. Invece per tenere in piedi tutta la macchina della pubblica amministrazione da consegnare alla nuova città metropolitana, al 31 dicembre 2015 Catania ha speso quasi 118 milioni di euro, Messina 72 milioni e mezzo di euro e Palermo, pur dimezzando le spese, si è fermata a quasi 110 milioni di euro.

L’iter della cancellazione, infatti, è rimasto incompleto fino allo scorso marzo, così le Province da enti intermedi si sono trasformati in enti ibridi, che di fatto sono riusciti a sopprimere solo le rappresentanze democratiche elette dai cittadini con le consulenze al seguito, ma non la farraginosa e costosa macchina della burocrazia e degli uffici pubblici.

Sui tagli si può fare ancora tanto, ma il rischio è che la politica rimetta mani al portafogli. Catania, Messina e Palermo sono tre macchine che, dal 2013 a oggi, hanno camminato a folle e con il pilota automatico. Da qualche settimana, però, le tre supercity siciliane hanno ritrovato una guida politica con l’insediamento dei sindaci metropolitani Bianco, Accorinti e Orlando, tutti con la piena autorità di poter riorganizzare e rimodulare l’amministrazione e le spese a proprio piacimento già dai prossimi mesi.

UN POSTO SICURO.

Tra le più grandi incognite della riforma c’era quella legata al destino lavorativo del personale a tempo determinato. Uffici, impiegati e dirigenti, che fino al 2013 avevano compiti ben precisi, sono stati per mesi a lavoro ridotto. Eppure gli stipendi sono rimasti quasi invariati. Dal 2009 al 2013 Catania pagava poco più di 18 milioni di euro per gli emolumenti dei suoi impiegati provinciali a tempo indeterminato, nei due anni successivi ha risparmiato circa un milione di euro. Negli stessi anni Messina spendeva mediamente 23 milioni di euro, tra il 2014 e il 2015 la spesa è stata contenuta nei 21 milioni di euro. Palermo è passata dai 31 milioni del 2009 ai 36 del 2011 fino ad arrivare a ridurre i costi del personale a 23 milioni di euro nel 2015.

Gli impiegati delle ex Province, però, devono essere particolarmente efficienti e produttivi ancora oggi, perché la voce che riguarda l’indennità accessoria extra (ad esempio indennità per la produttività, per l’indennità di risultato, compensi per la partecipazione a commissioni di concorso, incentivi per la progettazione) individuata con il codice 1103 pesa tanto, a Palermo addirittura il doppio rispetto al passato (6 milioni di euro nel 2015, 3 milioni di euro nel 2012). Messina spende oggi circa 1,2 milioni e Catania 730 mila euro.

DALLA CARTA AL DIGITALE.

Drasticamente ridotti i costi per carta, cancelleria e stampati, identificati con il codice 1201 del Siope (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) alimentato dalle segnalazioni che, giornalmente, i tesorieri bancari delle Amministrazioni inviano alla Banca d’Italia a fronte delle operazioni di incasso e pagamento eseguite. A Catania si è passati dai 165 mila euro del 2009 a poco più di 10 mila euro del 2015 per comprare carta, di materiale di “facile consumo” e modulistica interna ed esterna per le attività dell’ente. Stesso andamento gli negli uffici di Messina, dove nel 2008 si pagavano 108 mila euro di cancelleria per arrivare ai 35 mila euro del 2015. Stesso discorso a Palermo, dove si è passati da 193 mila euro a 3.747.

BOLLETTE SALATE.

Restano ancora molto elevati i canoni per le utenze di trasmissioni dati, soprattutto telefono e internet. Nel 2009 Palermo spendeva più di 1,2 milioni di euro a fronte degli 864 mila euro di Catania e dei 731 di Messina. Il capoluogo alla fine del 2015 ha ridotto la spesa a 431 mila euro, Messina a 409 mila euro mentre a Catania il costo che era gradatamente sceso, nel 2015 è risalito a 713 mila euro. Le bollette della luce, poi, restano invariate negli anni. Palermo paga in media 3,5 milioni di euro l’anno, Catania e Messina circa 1,5 milioni di euro.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA