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Acireale, ruspe dopo quarant’anni L’ultimo respiro dell’ecomostro

Di Mario Barresi |

In una mattina d’autunno – col mare troppo blu, il cielo troppo azzurro e la scogliera troppo verde e troppo nera – quell’alveare di mattoni rossastri (dentro) e di pilastri grigiastri (fuori), imprigionato da tondini di ferro arrugginito, sembra ormai far parte del paesaggio. Una piccola macchia dentro una cartolina mozzafiato.

Santa Caterina, frazione a mare di Acireale, ieri mattina. Nel cuore del cantiere per la demolizione di ciò che doveva essere l’hotel Santa Maria La Scala. E invece che è stato altro. Dal 1975: un’incompiuta, un manufatto da abbattere, uno dei simboli italiani della cementificazione.

Telai in cemento armato, 350 metri quadri su sei piani che spuntano come un enorme fungo sulla scarpata a 40 metri sul livello del mare. Il manufatto è una specie di Testo unico sull’abusivismo. L’ecomostro di Acireale, nell’ordine: sorge in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico perché all’interno della Riserva naturale orientata “La Timpa”; si trova all’interno di un Sic (Sito di interesse comunitario) riconosciuto dal ministero dell’Ambiente; è costruito all’interno dei 150 metri dalla battigia; ricade in “Zona sismica 2” (ma almeno questo, nel 1975, non lo sapevano); sta nel perimetro del Pai, Piano di assetto idrogeologico, con pericolosità “P4” (molto elevata) rispetto all’erosione della costa e rischio “R3” (elevato) dal punto di vista geomorfologico; rientra in una zona «interessata da dissesti attivi individuati in “crolli e/o ribaltamenti”; dal punto di vista antisismico l’immobile è carente sin dalla costruzione (non rispetta i requisiti della legge del 1974), va da sé che è fuori norma rispetto alle regole attuali.

Se fosse qualcosa di più accogliente di uno scheletro, magari gli contesterebbero persino di essere il rifugio di Messina Denaro, o un covo dell’Isis. «È un concentrato di tutte le violazioni nazionali e regionali in materia», afferma Paolo Foti, Rup del Genio civile. Ma ora ecco le ruspe. E un’immensa gru che sembra scendere dalle nuvole. Al lavoro la ditta “Salamone Raimondo”, che s’è aggiudicata l’appalto per 154mila euro. «Abbiamo completato la messa in sicurezza del sito – dettaglia Antonio Nicolosi, progettista e direttore dei lavori – e domani ci sarà il primo atto della demolizione». Chi si aspetta un evento spettacolare, con l’ecomostro che esplode disintegrandosi nel nulla, resterà deluso. Lo scheletro dell’albergo sarà «tagliato pezzo per pezzo», con una «grande attenzione sul materiale di risulta, smaltito in centri di recupero». Ci sono 90 giorni di tempo, ma dall’impresa contano di concludere «fra metà gennaio e inizio febbraio 2017», pioggia e (soprattutto) vento permettendo.

Ma dell’ecomostro non deve rimanere nemmeno una briciola, visto che qui – a dispetto dello scempio quarantennale – siamo in una zona iper-vincolata. A proposito: il beffardo retroscena è che l’avvio dei lavori è stato rinviato di qualche mese per motivi di tutela ambientale: «Questo – ricorda con un sorriso il sindaco Roberto Barbagallo – è uno dei pochi periodi dell’anno in cui sulla Timpa non si danneggiano particolari tipi di flora e di fauna». Per intenderci: la gigantesca schifezza, che sfregia la Timpa da quarant’anni, ora verrà giù in ritardo per permettere la nidificazione dei falchetti. E dei gufi, giusto per garantirsi un’immunità scaramantica.

«Ma questo è soltanto l’inizio», assicura Barbagallo. Riferendosi a quello che Nicola D’Agostino, deputato regionale acese, definisce «un percorso di legalità di fatti e non di chiacchiere da tempo intrapreso ad Acireale». Le denunce contro i clan locali e la guerra ai furbetti del cartellino, certo. Ma anche un percorso ambientale con alcune tappe già fissate. Come l’ex stabilimento Pozzillo, 2.400 metri quadri di amianto da bonificare, «con 350mila euro già stanziati da noi e la concreta speranza che Stato e Regione ci aiutino per il resto», auspica il sindaco. E poi le villette abusive nella borgata marinara di Capomulini: «Abbiamo rifiutato il cambio di destinazione d’uso e disposto la demolizione», per scacciare l’incubo del «tappo idraulico sul torrente Lavinaio-Platani». Insomma: «A costo di aspettare anni per contenziosi e fondi, non ci fermiamo».

Il Comune, in questa sfida che oggi simbolicamente potrà dirsi vinta, non è stato da solo. «Abbiamo avuto accanto la Regione, con l’iter avviato e finanziato dall’ex assessore Nico Torrisi e seguito dal dirigente Fulvio Bellomo. E la Procura di Catania, da anni in prima linea nella lotta all’abusivismo», certificano Barbagallo e D’Agostino. Non a caso, oggi alle 12, al Demolition Party”, è annunciata la presenza dell’ex procuratore etneo Giovanni Salvi (oggi Pg a Roma), iniziatore e sostenitore di un percorso virtuoso poi continuato da Michelangelo Patanè, infine raccolto dall’attuale capo della Procura, Carmelo Zuccaro, anch’esso fra gli ospiti con il procuratore generale Salvatore Scalia. Ci saranno, fra i tanti altri, l’assessore regionale al Territorio, Maurizio Croce, e il sindaco metropolitano Enzo Bianco. Non una sfilata di toghe e di fasce. Ma l’ultima scena – con legittima cerimoniosità – di un film horror a lieto fine. Anche i mostri che sembrano invincibili, talvolta in Sicilia, possono essere abbattuti.

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