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Pronto soccorso Far West in Sicilia: ecco di chi sono le responsabilità

Di Mario Barresi |

Ma è soltanto un’emergenza di sicurezza pubblica e di degrado sociale delle città, da risolvere potenziando il presidio delle forze dell’ordine negli ospedali? Il sindacato dei medici Cimo pur sottolineando il «grande rischio cui sono sottoposti gli operatori sanitari», fornisce un’altra chiave di lettura.

L’emergenza vista dall’interno, con il sistema del pronto soccorso percepito e concepito «soprattutto un ammortizzatore sociale». Ben lontano dal compito di gestire le emergenze-urgenze, ma piuttosto «un luogo dove far confluire la domanda di salute insoddisfatta, dove vicariare le inefficienze di un sistema territoriale non in grado di fare filtro». E, in particolare: «In un contesto in cui la domanda appare praticamente illimitata, la risposta assistenziale, condizionata da risorse sempre più contratte, è insoddisfacente sotto il profilo della qualità percepita. Ciò costituisce uno dei principali fattori di rischio per eventi conflittuali con l’utenza che spesso sfociano nei fenomeni di violenza verso gli operatori sanitari».

Sarebbe soltanto “filosofia” da bar d’ospedale, se queste affermazioni non fossero accompagnate da uno studio dettagliato. Il primo punto dolente è il sovraffollamento, una «sproporzione» fra la domanda sanitaria e le risorse umane disponibili. La causa principale? Il «blocco dell’uscita», ovvero «l’impossibilità di ricoverare i pazienti nei reparti degli ospedali per indisponibilità di posti letto, dopo il completamento della fase di cura in Pronto soccorso». Un problema che si manifesta nei dipartimenti d’emergenza, ma «trova le origini all’interno dei sistemi sanitari». Creando il “boarding”, la «permanenza inappropriata in area di emergenza di pazienti in attesa di ricovero, con elevati bisogni assistenziali ed in grado di assorbire notevoli risorse umane». La Cimo smentisce anche un luogo comune: il caos nei 20 maggiori pronto soccorso siciliani non è legato agli «accessi inappropriati», poiché i mesi di maggiore sovraffollamento (gennaio e febbraio) sono proprio quelli con il numero di minori accessi, che invece toccano i picchi a luglio e agosto.

Quindi il punto non è il flusso della domanda, ma la qualità dell’offerta. E quindi si analizzano i dati (fonte: Emur 2014) dei principali ospedali dell’Isola. «In alcune realtà un paziente su 4 viene ricoverato dopo una permanenza in pronto soccorso superiore alle 24 ore». Ma c’è anche chi va peggio, con 48 ore d’attesa registrati al Civico di Palermo (oltre 2.100 casi), al Garibaldi di Catania (circa 1.600) e al Sant’Elia di Caltanissetta (1.200 pazienti). Un ulteriore zoom: isolando gli otto pronto soccorso «dov’è risultata maggiore l’attesa per il posto letto» si evidenza come la permanenza media dei pazienti poi non ricoverati è assimilabile fra tutte le strutture, il tempo “parcheggio” dei pazienti ricoverati è variabile oltre che più lungo: è l’«effetto di una reale discrepanza fra domanda e offerta di posti letto». E, disaggregando il dato per area medica, si scopre che i picchi di attesa si registrano per il ricovero in Medicina: circa 24 ore per Sant’Elia, Cannizzaro e Villa Sofia. Molto più rapido (10 ore il record del Civico) la sistemazione in area chirurgica.

E questa tendenza è confermata anche da un altro dato: in Sicilia «circa il 65% dei ricoveri disposti in pronto soccorso è destinato verso reparti di area medica. In particolare il 50% dell’Area A (Medicina, Medicina e chirurgia di accettazione e d’urgenza, Neurologia, Pneuomologia, Geriatria e Oncologia). Ma quest’area, rileva il Cimo, dispone solo di 1/3 dei posti-letto delle strutture (703 su 1.943). Ed è qui il “tappo”: «La ridotta offerta di posto-letto di area medica rispetto alla preponderante domanda osservata è la causa principale della congestione di alcuni pronto soccorso con cospicui volumi di attività». Un effetto dei tagli ai posti letto a livello nazionale, con una specificità siciliana: «L’assenza di governance da parte delle direzioni sanitarie» che si traduce anche «in un mancato monitoraggio del turn over dei posti letto» e nella «incapacità di intercettare i colli di bottiglia che sono la causa dell’allungamento delle degenze». Il giudizio finale è sprezzante: «È sotto evidente accusa anche e soprattutto il ruolo di controllo e programmazione dell’Assessorato della Salute, evidentemente incapace di avvalersi delle preziose fonti informative disponibili, che renderebbero più efficace e tarata sui reali bisogni della popolazione la riorganizzazione della rete dell’emergenza urgenza».

Twitter: @MarioBarresi

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