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Per il «supremo» Genovese arriva il giorno della verità

Di Mario Barresi |

L’accusa, sostenuta in aula dal procuratore aggiunto di Messina, Sebastiano Ardita, affiancato dai pm Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, ha chiesto 11 anni di reclusione e 15mila euro di multa per Genovese, ex parlamentare del Pd, poi transitato in Forza Italia, per i reati di associazione per delinquere, riciclaggio, peculato, frode fiscale e truffa. Chiesti sei anni di reclusione a testa per le sorelle Chiara ed Elena Schirò, rispettivamente mogli di Genovese e di Franco Rinaldi, deputato regionale di Forza Italia (fino a gennaio 2016 nel gruppo del Pd), a sua volta imputato sul quale pende una richiesta di cinque anni e sei mesi.

Richieste pesanti anche per gli altri 19 imputati: 8 anni per Elio Sauta, ex consigliere comunale e patron dell’Aram, 3 anni e 8 mesi per l’ex assessore Melino Capone e il fratello Natale, responsabili Ancol; 1 anno e 8 mesi per Giovanna Schirò; 7 anni per il commercialista Stefano Galletti; 6 anni e 6 mesi per Graziella Feliciotto; 2 anni e 6 mesi per Cettina Cannavó, ex segretaria dell’onorevole e tesoriera del Pd; 2 anni e 2 mesi per Salvatore La Macchia, allora capo di gabinetto del defunto assessore regionale Mario Centorrino; 6 anni e 8 mesi per Natale Lo Presti, 4 anni per Giuseppina Pozzi, 3 anni per Liliana Imbesi; 1 anno e 8 mesi per il costruttore Orazio De Gregorio; 6 mesi per Paola Piraino; 2 anni e 4 mesi per Francesco Buda; 4 anni per Salvatore Natoli; 3 anni e 2 mesi per Domenico Fazio; 3 anni per Antonino Di Lorenzo; 3 anni e 8 mesi per Carmelo Favazzo; 6 anni per Roberto Giunta. La Procura ha sollecitato sanzioni pecuniarie per le società coinvolte per un totale di un milione di euro.

Nella requisitoria, Ardita sottolineò la «gravità dei reati, sia per le responsabilità pubbliche di chi li commette, sia perché sottraggono importate risorse in un settore strategico e vitale come la formazione professionale, con tanti giovani in cerca di lavoro», creando «effetti sociali e danni» considerati «immaginabili in una Sicilia martoriata dal disagio, dalla disoccupazione e dalla alternative illecite al lavoro negato». Il procuratore aggiunto di Messina sostenne che «questi illeciti siano stati commessi con una rete estesa e preoccupante di complicità». Puntando il dito sulla «condizione di privilegio di quanti si sono arricchiti con facilità, attraverso coperture, complicità e forza istituzionale, a dispetto delle difficoltà nella quali si dibattono i normali cittadini a cui quelle risorse sono state sottratte». Per questo, concluse il pm, «tutte queste vicende meritano come risposta un processo normale e la normale applicazione delle regole previste per tutti i cittadini, con una pronuncia che tenga conto della gravità dei fatti, senza eccessi e senza sconti».

Genovese è uno dei pionieri del Pd in Sicilia. Scelto da Walter Veltroni come primo segretario del partito in Sicilia, è stato campione di preferenze oltre che temutissimo capocorrente. Fino all’inchiesta. Culminata con le manette. L’imputato ha trascorso 19 mesi agli arresti (tra carcere e domiciliari) prima di tornare libero. Per coincidenza poco prima dell’altro carcerato illustre, Totò Cuffaro. «Con Cuffaro ci siamo scritti durante la detenzione. Lo ritengo un uomo straordinario. Il suo travaglio l’ho vissuto anch’io», confessò l’ex parlamentare messinese in un’intervista a Repubblica. Acquisita la libertà, Genovese abbandonò il Pd, trasferendo armi e bagagli (insieme con una nutrita schiera di deputati, consiglieri e potenti portatori di voti) nel partito di Silvio Berlusconi. L’arresto di Genovese era stato ordinato dal gip di Messina nel marzo del 2014,  autorizzato poi dalla Camera nel maggio successivo. Con il voto, decisivo, del Pd. «Quel fatto – commentò – ha contribuito alla mia decisione, seppure solo in parte. Il voto sull’autorizzazione a procedere nei miei confronti è stato uno spot elettorale. Ma lascio il partito perché Renzi ha tradito le attese». Aggiungendo: «Ho costruito un Pd vincente e ho pagato il successo. Crocetta ha avuto i miei voti e si è mostrato ingrato». E ora quei voti (che, da ex democristiano, sostiene, «si conquistano giorno dopo giorno») li ha portati in dote ai forzisti, con un matrimonio benedetto dal leader siciliano Gianfranco Micciché.

Dal punto di vista processuale, Genovese s’è sempre difeso con le unghie: «Mi sento in pace con la mia coscienza. Professo innocenza. Rivendico innocenza. Grido innocenza. Quella innocenza che, sono certo, sarà infine dimostrata», disse dopo la requisitoria del pm. Oggi sapremo se questo grido gli rimarrà strozzato in gola.

Twitter: @MarioBarresi 

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