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La mano lunga del clan Laudani su Lidl tra Milano e Catania: arresti e sequestri

Di redazione |

Milano – La Guardia di finanza di Varese e la Polizia di Milano hanno smantellato un’associazione a delinquere che avrebbe favorito gli interessi, in particolare a Milano e provincia, della famiglia mafiosa catanese dei “Laudani” o “Mussi i ficurinia”. Quattordici persone sono state raggiunte da un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del Tribunale di Milano, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia. Sono in corso oltre 60 perquisizioni tra Lombardia, Piemonte, Puglia e Sicilia, ma anche sequestri preventivi di beni immobili, quote sociali, disponibilità finanziarie nonchè ordinanze di amministrazione giudiziaria nei confronti di società operanti nel settore della grande distribuzione e della vigilanza e sicurezza privata. Inoltre, Polizia di Stato e Guardia di Finanza stanno dando esecuzione, in provincia di Catania, ad un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di quella sede, nei confronti di due indagati accusati di far parte della cosca mafiosa riconducibile alla famiglia dei “Laudani”.

In quattro delle dieci direzioni generali italiane del colosso tedesco della grande distribuzione Lidl la gestione sarà assunta dai giudici. E’ quanto ha stabilito la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano, su richiesta della Dda milanese, nell’ambito dell’ inchiesta sulle presunte infiltrazioni del clan catanese a Milano. Il provvedimento, stando a quanto si apprende, relativo alla gestione delle quattro direzioni generali ha durata di 6 mesi. E uno dei quattro provvedimento è stato notificato anche alla direzione generale della Lidl a Misterbianco. 

Destinatarie delle misure sarebbero anche alcune società del consorzio che ha in appalto tra le proprie attività commerciali, anche la vigilanza privata del Tribunale di Milano. Secondo quanto si è appreso si tratterebbe di società che forniscono i vigilantes del Palagiustizia. Nell’operazione sarebbero emersi stretti rapporti tra alcuni dirigenti delle società coinvolte e messe in amministrazione giudiziaria, e alcuni personaggi ritenuti appartenenti alla famiglia catanese dei Laudani. 

La presunta associazione per delinquere smantellata oggi dalla Dda di Milano avrebbe ottenuto “commesse e appalti di servizi in Sicilia” da Lidl Italia e Eurospin Italia attraverso «dazioni di denaro a esponenti della famiglia Laudani», clan mafioso «in grado di garantire il monopolio di tali commesse e la cogestione dei lavori in Sicilia». Gli arrestati, inoltre, avrebbero ottenuto lavori da Lidl Italia «in Piemonte» attraverso «dazioni corruttive». Lo si legge nell’ordinanza cautelare. 

Stando all’ordinanza del gip di Milano Giulio Fanales, emessa su richiesta del pm della Dda Paolo Storari, la presunta associazione per delinquere, composta da 16 persone, avrebbe commesso «una pluralità di delitti di emissione di fatture per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, omessa dichiarazione Iva, omesso versamento IVA, appropriazione indebita, ricettazione, traffico di influenze, intestazione fittizia di beni, corruzione tra privati».

In particolare, Luigi Alecci, Giacomo Politi e Emanuele Micelotta, tutti «con il ruolo di capi e promotori», nel 2008 avrebbero costituito «dapprima la Sigi Facilities e poi, nel 2015, la Sigilog, società consortile a cui fanno capo una serie di imprese, che si occupano di logistica e servizi alle imprese, intestate a prestanome al fine di permettere agli indagati una totale mimetizzazione». Queste imprese, poi, come si legge sempre nell’ordinanza, avrebbero versato somme di denaro a Simone Suriano «dipendente Lidl Italia srl, con il ruolo di associato» e finito oggi agli arresti domiciliari. Suriano sarebbe stato «stabilmente a libro paga al fine di far ottenere appalti a favore di imprese facenti parte dei consorzi Sigi Facilitis e Sigilog». La società Lidl Italia, invece, non è indagata.

Soldi sarebbero stati versati, poi, anche a Salvatore Orazio Di Mauro, «fino al suo arresto intervenuto in data 10.2.2016». Di Mauro sarebbe un «esponente di spicco della famiglia Laudani, uomo di fiducia di Laudani Sebastiano classe ’69, detto Iano il grande». Le imprese della presunta associazione, tra l’altro, avrebbero versato denaro anche a «Enrico Borzì», anche lui presunto esponente dell’associazione. I rapporti tra gli indagati e la famiglia Laudani, si legge negli atti, «risalgono a tempo addietro» e tra le finalità dei versamenti c’era anche quella «di provvedere al sostegno dei detenuti della famiglia mafiosa dei Laudani». 

Così si spartivano le buste ad Acireale: le intercettazioni

La presunta associazione per delinquere smantellata oggi dalla Dda milanese avrebbe funzionato «da serbatoio finanziario del clan: da un lato, l’appartenenza al sodalizio di soggetti esercitanti il controllo su floride aziende del settore della sicurezza privata e, d’altro canto, l’opportuna lontananza del luogo di formazione della provvista, dal territorio di riferimento del clan, rendono particolarmente efficace l’attività dell’associazione, volta al sovvenzionamento dell’organizzazione di stampo mafioso». Lo scrive il gip di Milano Giulio Fanales nell’ordinanza d’arresto. Il giudice mette anche in evidenza «la complessità del sistema escogitato onde conseguire la provvista illecita da destinare al clan, con il notevole impegno, profuso dagli associati, per garantirne l’operatività; la determinazione dimostrata nel sovvenzionare l’organizzazione mafiosa, tanto da fare proseguire il versamento delle somme, a quel punto a favore dei parenti degli affiliati, malgrado la cattura dei principali esponenti del clan; infine, i grandi rischi corsi dagli indagati, stante la rilevante distanza fra il territorio di operatività dell’associazione, nonché luogo delle loro dimore abituali, ed il comune di Acireale, ove hanno luogo le consegne di denaro».

Ai familiari dei detenuti che ricevevano aiuti economici dal clan mafioso Laudani (che si sarebbe infiltrato in attività economiche al nord), veniva richiesto dal «cassiere» della cosca di sottoscrivere «una ricevuta». Lo scrive il gip di Milano Giulio Fanales nella parte dell’ordinanza cautelare dedicata ai «versamenti alla cosca mafiosa» da parte degli arrestati che facevano affari al nord. Parte di quei versamenti, infatti, andava alle famiglie dei detenuti del clan. Il denaro, si legge negli atti, «viene da un indagato portato in Sicilia e da costui consegnato nelle mani del cassiere del clan, Borzì Enrico». Il cassiere «tiene un apposito registro, in cui vengono indicati i riferimenti dei versamenti in ingresso (nominativi, date e importi relativi alle somme introitate) ed i riferimenti dei pagamenti in uscita (nominativi, date e importi relativi alle somme corrisposte)». Al familiare del detenuto, «beneficiario del versamento, il cassiere richiede la sottoscrizione di una ricevuta».  

Nel giro di due giorni, tra il 13 e il 14 dicembre scorso, la presunta associazione per delinquere vicina alla clan mafioso Laudani sarebbe stata in grado, attraverso due suoi esponenti, da un lato di pagare mazzette in Piemonte ad un dipendente della Lidl per ottenere appalti, e dall’altro di portare soldi alla cosca in Sicilia per avere commesse sempre relative a filiali del noto supermercato. E’ quanto si legge nel decreto con cui la Sezione misure di prevenzione del Tribunale milanese (giudici Roia-Tallarida-Pontani) ha commissariato 4 direzioni generali della catena della grande distribuzione tedesca. Dalle indagini, infatti, scrive il Tribunale, «è emerso che le modalità attraverso cui le cooperative gestite dagli indagati acquisiscono tali commesse sono differenti tra sud e nord: mentre in Sicilia gli appalti vengono ottenuti tramite l’interessamento remunerato delle organizzazioni mafiose, al nord i pagamenti sono effettuati direttamente a favore di figure dirigenziali della stessa Lidl ed a titolo corruttivo». A riprova di ciò, si legge ancora, «il pm cita gli avvenimenti registrati in Sicilia e Piemonte nelle giornate del 13 e 14 dicembre: in queste giornate l’indagato Politi si trova a Catania per incontrare dapprima Greco (emittente fatture false) e poi Borzì Enrico, referente e ‘cassierè della famiglia Laudani (a cui consegna il denaro provento delle false fatture)». Nel frattempo, «il giorno 14 dicembre, a Chivasso, Micelotta (anche lui arrestato, ndr) incontra Suriano (funzionario Lidl) e gli consegna la somma di 4.000 euro con finalità corruttive». Nel corso delle indagini, precisano i giudici, «sono stati documentati diversi incontri come questo, e sono state intercettate numerose conversazioni, che danno conto del fatto che la Lidl, attraverso alcune direzioni generali siciliane e piemontesi, ha affidato commesse alle società gestite dagli indagati, i quali hanno potuto sopravanzare la concorrenza attraverso l’interessamento della famiglia mafiosa (in Sicilia) ovvero dazioni illecite effettuate nelle mani di alcuni dirigenti di filiale (in Piemonte)».

«Lidl Italia si dichiara completamente estranea a quanto diffuso in data odierna dai principali media in relazione all’operazione gestita dalla Dda»: è quanto dichiara, in una nota, la società. «L’azienda, che è venuta a conoscenza della vicenda in data odierna da parte degli organi inquirenti – viene sottolineato nel comunicato – si è resa da subito a completa disposizione delle autorità competenti, al fine di agevolare le indagini e fare chiarezza quanto prima sull’accaduto. Lidl Italia precisa, inoltre, che l’azienda non risulta indagata e non vi sono sequestri in atto».  COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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