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“Rane”, un saporito riso alla greca Trionfo per il debutto “classico” di Ficarra e Picone

Di Carmelita Celi |

Deo gratias (attenzione a dire «Porco Zeus!», Dioniso-Ficarra se ne risente subito: «Che c’entra papà?») la calibrata “cucina del comico”, creativa, riconoscibile eppure rispettosa dell’antico di Salvo Ficarra e Valentino Picone – ieri al Teatro antico di Siracusa al debutto di Le rane di Aristofane, terzo spettacolo in cartellone dell’Inda su raffinata, discreta regia di Giorgio Barberio Corsetti e nell’italiano efficace e irriverente quanto basta di Olimpia Imperio – al riso alla greca ha restituito sapore, colore, alto potere nutritivo. E un retrogusto che non guasta: le risate, alla lunga, possono essere come le scarpe, più sono strette e più fanno male.

La scena pressoché vuota (Massimo Troncanetti) è oggi scelta quanto mai appropriata, terra riarsa, ferro, ruggine sembrano essere la migliore traslazione scenica delle pietre. E’ qui che Dioniso e il suo servo Xantia – Ficarra e Picone, nemmeno a dirlo – incominciano la loro singolar “escursione” verso un Ade che scopriremo felicemente scapestrato e con un’avviata vita culturale tutta sua. Pregevole e professionalmente ammirevole è già il loro ingresso in scena: non cercano l’applauso di sortita né lo sollecitano in alcun modo, sono Ficarra e Picone e non “fanno” Ficarra e Picone. Seguendo alla lettera ma ciascuno a suo modo le istruzioni di Aristofane sono già Dioniso (Salvo) già impellicciato ed armato di clava alla maniera di Eracle a cui si presenterà come suo doppio, e Xantia (Valentino) in improbabile completino da viaggio, schiacciato da bagagli che tenta maldestramente di caricare sul dorso di un cavallino-monopattino.

Attenti, quei due. Attenti a non sbracare – e sì che lo consentirebbe eccome l’apertura della commedia, un geniale colpo di metateatro in cui Aristofane affronta l’impostazione del discorso comico: «La dico una delle solite? Il pubblico ci ride ogni volta!», «Dì quello che ti pare ma non uscirtene con…». Attenti, quei due. Attenti a non citarsi addosso salvo il loro accento palermitano che benissimo s’accorda con natura e cultura della commedia, attenti a non gigionare. In attesa di confrontarsi con il teatro vero, l’aldilà, e con i veri umani, i morti, da Eracle (Roberto Salemi) ricevono almeno tre soluzioni per recarsi nell’Ade. Buttarsi in un precipizio, impiccarsi oppure la “cicuta nazionale”.

Ma la “mission impossible” di Dioniso-Ficarra, straziato dalla morte di Euripide, è di scendere colà (dove non si puote ciò che si vuole) per riportarlo in vita. A nulla varrà la richiesta d’un passaggio ad un morto (Dario Iubatti che più avanti darà voce al tremendissimo Plutone) che piuttosto ch’essere sottopagato resuscita a gambe levate dalla sedia a rotelle: meglio un Caronte in odore d’abate Faria del “Conte di Montecristo” (Giovanni Prosperi) ai remi di un barcone su cui Dioniso si produrrà in flatulenze non troppo divine. E la scena si “allaga” di candidi parallelepipedi mentre dei musicalissimi anfibi si sono già calati nel fango. In verde brillante, occhiali neri vagamente Blues Brothers, sono loro le “rane”, gli strepitosi SeiOttavi, meravigliosa spina dorsale dell’intera produzione. Sono sberleffo in musica, hanno il teatro in gola, possono essere orchestra e coro (oltre ad aver istruito a dovere il coro degli Iniziati) e restituiscono, da soli, essenza e valenza del teatro antico che sa e deve essere anche spettacolo. Versi e versacci tornano ad essere tessuto connettivo con i movimenti coreografici dei giovani dannati (l’Accademia d’arte dell’Inda intitolata a Giusto Monaco) guidati da un corifeo duttilissimo e talentuoso (Gabriele Portoghese) di splendida presenza scenica. Completano il cast Francesco Russo (Eaco), Francesca Ciocchetti (Ostessa), Valeria Almerighi (Platane).

Di temperamento riconoscibile e insostituibile, Fic&Pic sono insuperabili nello scambio di ruoli (l’uno vuol essere servo a convenienza, l’altro cede a malincuore e con ricatto) e diventano irresistibili quando alla bastonatura “scientifica” nell’Ade, una sorta di slapstick comedy ante litteram perché si capisca chi sia Dioniso e chi Xantia, tentano di “vestire” le urla di dolore con gag verbali esilarantissime.

Nella città dei morti, non c’è solo il certame tra santoni che qui sono solo due litiganti – il tetragono Eschilo di Roberto Rustioni e l’Euripide che sembra un po’ Lytton Strachey di Gabriele Benedetti “spezzettati” dai video di Igor Renzetti con le incursioni impagabili di Fic&Pic – quanto la sapiente “illustrazione” mimica che ne fanno le marionette, inquietanti e illuminanti, di Einat Landais, Marzia Gambardella, Carlo Gilé.

“Resurrezione” ad Eschilo, alla fine, urla alla “beatlesmania” per Fic&Pic e un plauso speciale per il commovente stralcio in video del colloquio Pasolini-Ezra Pound. Di poeti c’è ancora (sempre!) bisogno.

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