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Troppe aggressioni negli ospedali: i giovani rinunciano ad essere assunti

Di Andrea Lodato |

Catania – Lavoro? Che tipo di lavoro? Per fare che? E, soprattutto, in quali condizioni? Il deputato regionale del M5S, Francesco Cappello, lancia un allarme, riaprendo anche una questione che è destinata a far discutere ancora. E a dividere, ancora una volta e anche di più, se possibile. Si parla di lavoro che c’è, ma che pochi vogliono. E qui non c’entra essere choosy, ovvero schizzinosi come bollava la ministra Fornero. Qui c’entra la sicurezza, la qualità del lavoro, le garanzie di farla franca, ogni giorno. Dice Cappello: «Meglio disoccupati che al pronto soccorso. Nella terra di Pirandello, dove il lavoro latita paurosamente, succede anche questo, che le chiamate per medici ed infermieri in numerosi pronto soccorso non trovano risposta e i posti restano desolatamente vuoti».

Il tema, dunque, è legato alla sanità siciliana, agli ospedali, alla sicurezza che non c’è e che, anzi, sembra diminuire progressivamente con l’imbarbarimento dei rapporti sociali e con l’impennata di disagio e rabbia. E così anche se il lavoro c’è, resta lì.

«Solo per fare un esempio – afferma il deputato M5S che fa parte della commissione Sanità dell’Ars – possiamo citare il pronto soccorso di Caltagirone, dove i posti occupati sono circa il 50 per cento di quelli previsti in pianta organica: dei 26 medici previsti ce ne sono in servizio solo 10, mentre rispondono all’appello 18 infermieri dei 34 sulla carta. E quello che accade a Caltagirone succede in tantissimi pronto soccorsi siciliani, specie nei più piccoli». La gente ha letteralmente paura, insomma. Mentre da un lato i sindacati premono perché si chiudano i conti con vecchi concorsi e con precari che attendono di essere stabilizzati da anni, la reazione alla violenza crescente diventano la fuga o la rinuncia.

«Le Asp e le aziende ospedaliere – racconta ancora Cappello – scorrono le graduatorie e provvedono alle chiamate per i pronto soccorso, ma non ricevono alcuna riposta. Paradossalmente ci sono giovani medici che preferiscono anche rimanere a casa, in attesa di migliori collocazioni, che spesso non arrivano in tempi brevi, piuttosto che scegliere di lavorare in quello che sta diventando una sorta di Far west. Perché di questo si tratta: molti professionisti operano in condizioni disumane e spesso rischiano pure la pelle a causa delle frequenti aggressioni. L’ultimo caso, freschissimo al Vittorio Emanuele di Catania. Così non può continuare». E no, così non può continuare, certamente, tanto più che sembra l’intero sistema da rivedere e, in qualche modo, anche da rifondare, dalle basi. Perché, spesso, alla base delle violenze ingiustificabili e frutto di azioni bestiali, ci sono, però, disagi enormi della popolazione, un senso di impotenza di fronte ad una macchina elefantiaca, costosa, spesso inefficiente. Una macchina al cui motore sta lavorando ora il nuovo governo, che deve cominciare dal riparare i danni più recenti, probabilmente, prima di puntare su quella benedetta rifondazione.

Intanto per porre riparo alla situazione denunciata, il M5S ha presentato una mozione all’Ars per impegnare il governo regionale ad attivare urgentemente diverse procedure di reclutamento, anche straordinarie. Tra queste procedure concorsuali e di mobilità infra ed extra regionale per medici di altri pronto soccorso o di altri camici bianchi compatibili con l’operatività nelle aree di emergenza. La cronica carenza di camici bianchi, cui le frequenti chiamate di Asp e aziende ospedaliere non riescono a fare fronte – ricorda ancora Cappello – è confermata da un recente studio di Anaao-Cimo che testimonia come nei pronto soccorso con accessi che vanno dai 30 mila ai 50 mila annui, i vuoti arrivano a sfiorare il 50 per cento della dotazione organica prevista dal decreto assessoriale 1380 del 2015».

Secondo Massimo Geraci, referente Anaao per l’emergenza, per riportare i medici in pronto soccorso si dovrebbe pure agire sul piano della vocazione e formazione professionale: «Bisogna – dice – creare medici specializzati ad hoc, il pronto soccorso non può essere un posto di ripiego per un cardiologo o uno pneumologo che non hanno trovato spazio altrove. Nel 2008 in venticinque università italiane è partita la specializzazione in medicina e chirurgia di accettazione e di emergenza. In Sicilia si è partiti solo lo scorso anno e solo a Catania. I risultati si vedranno solo fra qualche anno- Occorre inoltre – aggiunge Geraci – potenziare le strutture di PS di risorse organizzative ed umane ed affrontare il problema del ‘boarding’ attraverso una seria rimodulazione della rete ospedaliera, tenendo conto della attuale domanda di ricovero appropriata ma non soddisfatta».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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