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Rapito davanti alla figlia e poi vittima di lupara bianca: 4 arresti a Palermo

Di redazione |

PALERMO – I Carabinieri del Nucleo Investigativo di Palermo, su richiesta della Dda hanno dato esecuzione a quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di Freddy Gallina, Giovan Battista Pipitone, Vincenzo Pipitone e Salvatore Gregoli, accusati dell’omicidio di Giampiero Tocco, ucciso con il metodo della lupara bianca ad ottobre del 2000. Tocco fu eliminato perché ritenuto responsabile del delitto del boss Giuseppe Di Maggio. Venne rapito mentre era in auto con la figlia di sei anni, portato in un casolare di campagna, torturato, strangolato e sciolto nell’acido. I mandanti furono i capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo, già condannati all’ergastolo. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dai pm Roberto Tartaglia, Amelia Luise e Annamaria Picozzi. 

L’ergastolo è stato inflitto anche a Damiano Mazzola, che era nell’auto con i falsi poliziotti incaricati di fermare la macchina di Tocco. Dodici e otto anni hanno avuto, invece, i pentiti Gaspare Pulizzi e Francesco Briguglio. Grazie alle rivelazioni dell’ultimo collaboratore di giustizia, Antonino Pipitone, ex capomafia di Carini, si è fatta luce sugli ultimi aspetti non chiariti del delitto e si è accertato il ruolo di Freddy Gallina, Vincenzo e Giovan Battista Pipitone, zii del collaboratore di giustizia, nomi storici di Cosa nostra, detenuti e già arrestati per il maxiprocesso e di Salvatore Gregoli.

Gregoli, che avrebbe fatto parte del commando di falsi agenti che bloccò Tocco e gli intimò di scendere dall’auto, era libero e i carabinieri gli hanno notificato stamattina la custodia cautelare in carcere. Gallina si trova negli Usa. Fermato dal Fbi nei mesi scorsi è detenuto come clandestino e attende il provvedimento di espulsione dal Paese.

Secondo la ricostruzione degli investigatori, il delitto fu voluto da Salvatore Lo Piccolo che ordinò il sequestro di Tocco e lo sottopose, dopo averlo torturato, a un lungo interrogatorio per accertare chi gli avesse chiesto gli uccidere Giuseppe Di Maggio. Negli ambienti mafiosi si sapeva che era lui l’autore dell’omicidio. Durante la veglia funebre per Di Maggio, la madre, intercettata, avrebbe detto ai parenti: «Giampiero», alludendo a Tocco.  Al padrino Tocco avrebbe risposto: «Uno molto in alto «, alludendo al boss Bernardo Provenzano. E il capomafia di San Lorenzo avrebbe replicato: «tu non hai capito che quello in alto sono io». Dopo l’interrogatorio da parte del boss la vittima fu strangolata e il suo corpo venne sciolto in un bidone di acido. Secondo i racconti dei collaboratori di giustizia, i mafiosi che parteciparono al delitto si sarebbero spartiti i vestiti e gli oggetti che la vittima aveva addosso. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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