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Regionali, candidati con “porte girevoli” tra nuovi flirt e vecchi imbarazzi

Di Mario Barresi |

Palazzo, chi è costei? Segretaria del circolo del Pd di Catania “Centro storico” e membro della direzione regionale del partito, la battagliera dirigente s’è dimessa da ogni carica qualche giorno fa. Sbattendo la porta, perché «non mi rivedo più in questo contenitore in cui è stato trasformato» il Pd, in cui «le incrinature e le divisioni si sono acuite, mettendo all’angolo le forze e le esperienze che hanno dato vita a questo partito, aprendo indiscriminatamente la porta a chiunque». Sotto il Vulcano s’è pure vociferato di un percorso naturale di Palazzo verso sinistra, ma già da settimane sarebbero in corso fitti contatti con gli emissari di #DiventeràBellissima. Ieri Musumeci ha rotto il ghiaccio: «La scelta di Adele Palazzo, perché sofferta e meditata, merita rispetto. È la concreta rappresentazione di uno stato d’animo diffuso all’interno del Pd e tra i suoi tradizionali elettori». Il candidato governatore dice che «abbiamo storie e provenienze diverse, ma il dovere del servizio ci impone di sposare la causa comune e di rinunciare all’egoismo». Da Musumeci (ieri a Roma con Giorgia Meloni alla festa di Atreju) alla dissidente dem un invito «senza mezze parole». Che sa di accordo già chiuso.

«Stento a crederci anche dopo averlo sentito. Se fosse davvero così sarebbe la conferma che oltre la sinistra… c’è solo la destra», è il laconico commento di Fausto Raciti, segretario regionale del Pd.

Quello di Palazzo (che non ha però risposto a Musumeci) sarà pure un caso «troppo locale e radical chic per dargli un valore regionale», come qualcuno del Pd catanese minimizza. Eppure va contestualizzato. La transumanza di massa (soprattutto alfaniani e centristi in direzione Forza Italia e Udc) aveva finora risparmiato il Pd. Ma l’offerta “civica” di Musumeci, a maggior ragione con l’effetto traino dei sondaggi lusinghieri, diventa un’altra variabile destabilizzante per il centrosinistra che conta di colmare lo svantaggio di riconoscibilità del candidato Fabrizio Micari con la forza d’urto delle liste. Tanto più che l’eventuale ingresso di Palazzo «non è l’unica sorpresa», perché «potrebbero essercene delle altre ancora più grosse», si lasciano sfuggire dall’entourage di Musumeci. Non confermando, almeno per ora, il transito di un pezzo grosso del centrosinistra della Sicilia occidentale in #DiventeràBellissima. Se fosse vero, sarà questione di giorni.

«C’è la fila per venire con noi. Prima, durante o dopo le elezioni», sghignazza un moderato di peso. Eppure anche nella ressa di aspiranti candidati, c’è qualche imbarazzo. Il nome nell’occhio del ciclone è quello di Luigi Genovese, figlio di Francantonio, ras messinese delle preferenze, condannato a 11 anni in primo grado al processo “Corsi d’oro” della formazione professionale. La famiglia Genovese al completo ha ufficializzato la candidatura in Forza Italia del pupillo ventunenne in una convention al Palacultura di Messina. Con lui Gianfranco Micciché e Gaetano Armao (nessuna traccia di Musumeci), ma soprattutto 1.500 persone in platea. Accolto sul palco da Paradise dei Coldplay, Genovese Junior rivendica: «Voglio dimostrare di essere un ragazzo capace». Poi cita Steve Jobs. «Mi sono chiesto cosa volesse dire con “stay foolish, stay hungry”, cosa significasse per me. Per me significa uscire dalla mia comfort zone e uscire e parlare di politica». Seguono applausi scroscianti. E pellegrinaggio per omaggiare la famiglia.

Musica per le orecchie dei rivali di Musumeci. “Pizzicato” dal grillino Giancarlo Cancelleri: «Le colpe dei padri non ricadano sui figli, più che giusto. Anzi giustissimo. Nel caso di Genovese junior è d’obbligo, però, un distinguo, specie se chi lo ha accolto nella coalizione ha predicato ai quattro venti di essere disposto a rinunciare anche a 10mila voti piuttosto che perdere la dignità». Anche Giovanni La Via, vice designato di Micari, non le manda a dire: «Posto che le eventuali colpe dei padri non debbano ricadere anche sui figli, sorprende come l’elemento dinastico sia utilizzato dalla destra come criterio di scelta dei propri candidati. Non importa quale sia la tua competenza e come intendi risollevare le sorti dell’isola, conta il cognome che hai e i voti che riesce a intercettare. Micari e io abbiamo rifiutato quest’approccio nella ferma convinzione che la Sicilia meriti altro».

E gli altri? Sarebbero quasi del tutto tramontante – assicurano, senza nemmeno troppa convinzione, dal centrodestra – le candidature di Silvio Cuffaro (fratello di Totò), di Giuseppe Lombardo (nipote di Raffaele e figlio di Angelo) e di Riccardo Pellegrino, consigliere etneo di Forza Italia finito nelle carte proprio dell’Antimafia presieduta da Musumeci. Che, in un video sui social, sembra quasi suggerire di non votare per gli “indesiderati”: «La prima selezione spetta ai partiti, la seconda la fa la gente». Basterà a rassicurare il suo elettorato d’opinione?

A proposito di liste. Nel Pd il segretario Raciti sta ricomponendo il puzzle delle candidature all’Ars. Resta sempre fisso il diktat: «In campo tutti i nostri big». Ma con qualche deroga, soprattutto nei confronti del Megafono di Rorsario Crocetta. Il quale, dopo aver strappato al Nazareno il certificato di gemellaggio col partito, potrebbe accogliere alcuni dem “soprannumerari” nelle sue liste. Fra domani e mercoledì la quadra. O giù di lì.

Twitter: @MarioBarresi

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