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Utile e disgiunto, ecco quanto pesa alle Regionali il voto “famolo strano”

Di Mario Barresi |

CATANIA – Utile e disgiunto, spontaneo o indirizzato. Quanto pesa il voto in versione “famolo strano”? Qual è l’incidenza, alle Regionali, degli elettori che fanno una scelta diversa (e talvolta opposta) fra il governatore e il partito?

Non poco. In Sicilia dal 2006 c’è l’elezione diretta del presidente, ma nella stessa scheda si esprime anche la preferenza per la lista e il candidato all’Ars. In teoria possono anche essere compiute scelte di natura diversa – il cosiddetto voto disgiunto – frenate però da un certo effetto-trascinamento: in quanti “tradiscono” lista e deputato regionale preferiti con un aspirante governatore nemico (o viceversa)?

Partiamo dai dati. Provando a incrociarli con il contesto di questa campagna elettorale. La prima evidenza è che i siciliani, da quando possono scegliere direttamente il presidente, lo fanno con convinzione. E con molta più partecipazione rispetto al consenso per partiti e politici locali. Dal 2006 i voti validi per i candidati presidenti sono sempre stati maggiori, in termini assoluti, di quelli per le liste dell’Ars: quasi 100mila in più nel 2006, addirittura 150mila nel 2008 e quasi 110mila cinque anni fa. Riflessione: c’è una fascia dell’elettorato siciliano che si esprime soltanto per il presidente, tralasciando tutti i simboli a sostegno. E senza una “X” esplicita sulla scheda, la preferenza non va ad alcuna lista. Rimanendo nell’Ufficio Voti Smarriti. Un “patrimonio” che, nelle ultime tre Regionali, va dal 3,8 al 5,5% dei votanti. E che adesso, in una presunta sfida al fotofinish, diventa decisiva. Ancor di più se si analizzano le serie storiche della differenza fra gli aspiranti presidenti e le coalizioni a loro sostegno.

Il centrodestra, per antonomasia, ha liste molto competitive. Più forti dei candidati a Palazzo d’Orléans. Nel 2006 Totò Cuffaro (oltre 2,5 milioni di preferenze personali, il presidente più votato della storia) fu addirittura superato dall’insieme dei suoi alleati: “Vasa-Vasa” prese 138.905 voti in meno, ma soprattutto -8,42% sui rispettivi totali di schede valide. Stesso, o quasi, dicasi per Raffaele Lombardo. Arrivò a quota 1,8 milioni, grosso modo quanto la sua alleanza. Ma con un -2,74%, in proporzione, rispetto allo schieramento. Medesima sorte per Gianfranco Micciché, nel 2012: 70mila voti in meno della somma dei suoi sostenitori, con un -4,57%. L’unica eccezione in controtendenza, nel centrodestra, è da sempre Nello Musumeci. Quasi scontato il valore aggiunto della corsa solitaria di 11 anni fa (136mila voti, 77mila in più dell’unica lista), anche alle scorse Regionali superò di circa 50mila voti la somma di Pdl, Cantiere Popolare e Lista del Presidente. Cosa significa ciò in prospettiva del 5 novembre? Se le liste di centrodestra unito fossero davvero competitive e se il candidato governatore mantenesse il suo “tesoretto” di voto d’opinione, allora la partita sarebbe davvero quasi chiusa. Non a caso, Musumeci fa un appello al voto utile: «Se vogliamo evitare altri cinque anni di sciagura grillina, gli elettori del centrosinistra non hanno che da sostenere la mia candidatura perché io sono per loro una garanzia». E ieri sera, da Monforte Marina, nel Messinese, un invito ad hoc: «Faccio un appello agli elettori che voteranno Pd ognuno con il proprio candidato e la propria lista, fate come volete ma non votate per la presidenza Micari, il massimo rispetto per l’uomo, ma oggi votare per lui è come votare Beppe Grillo».

Ma Giancarlo Cancelleri, al suo secondo tentativo, ha dalla sua un altro dato interessante, che è un classico del M5S: il candidato è sempre molto più gettonato dell’unica lista pentastellata. Nel 2012, per lui il saldo attivo fu di oltre 82mila voti. E se i 5stelle sono da più parti accreditati di un 30% all’Ars, il surplus di Cancelleri (molto più conosciuto di cinque anni fa) può fare la differenza vincente. E quindi è altrettanta sensata, dal suo punto di vista, la strategia di arginare il rivale: «Se voti Musumeci vince Miccichè. Con la schiera di impresentabili condannati e arrestati e portandosi dietro l’accozzaglia di politicanti che ha distrutto la Sicilia, in totale assenza di un programma, Musumeci ha perso qualsiasi credibilità. Con il disperato appello al centrosinistra però perlomeno ci regala una risata e di questo gli va dato atto». Segue un appello quasi copia&incolla dei grillini, rivolto a «popolo di sinistra, centro sinistra, non collocati, cittadini di qualunque area politica», ma anche a «indecisi e delusi»: votate Cancelleri, «l’unico che può fermare la corsa degli impresentabili al fianco di Musumeci».

Più complessa la situazione del centrosinistra. Da quando c’è l’elezione diretta, i candidati alla presidenza sono sempre stati più robusti della sommatoria delle liste. Pur surclassate dagli avversari di centrodestra, sia Rita Borsellino sia Anna Finocchiaro fecero meglio delle rispettive coalizioni: 190mila voti in più, il 5,5% nel 2006; sovrappiù di 95mila voti, ma con appena un +1,78% due anni dopo. Da consuetudine a modello vincente con Rosario Crocetta nel 2012: superò le sue liste di 33mila voti, che gli bastarono per diventare il primo governatore di sinistra a suffragio diretto. E adesso? Fabrizio Micari, contestando con sdegno i sondaggi, si fa coraggio e invoca «il voto strutturato e organizzato delle liste, che ci darà la vittoria». Il che contraddice la tradizionale debolezza dei partiti rispetto al candidato presidente. Quanto dovrebbero essere corazzate le liste di centrosinistra (a maggior ragione dopo l’unificazione Megafono-Arcipelago e il pasticcio di Messina) per trascinare Micari alla vittoria? Crocetta una risposta ce l’ha. E, dopo uno sfogo («Mi avete crocifisso, ma adesso vedrete il baratro»), l’affida all’intervista con Guido Ruotolo su TiscaliNews: «Gli elettori del centrosinistra sono attratti da altre sirene. Alcuni sicuramente da Musumeci. I miei elettori sono più alternativi e penso che in parte potrebbero votare per i CinqueStelle, così come i grillini votarono in parte per me, cinque anni fa». Concetto rafforzato da Peppe Caudo, megafonista di ferro, che nel collegio di Catania prevede, «non per mia scelta» molti “C-C”, ovvero Caudo-Cancelleri. «In Sicilia ci sono 60-70mila orfani di Crocetta, i quali votano contro il sistema. E Micari, purtroppo per noi, dai nostri viene visto come espressione del sistema».

Anche Totò Cardinale, interpellato da Repubblica, sembrava aver lanciato un messaggio subliminale: «Alcuni di quelli che votano per noi all’Ars sono orientati per Musumeci». Il leader di Sicilia Futura, sentito ieri al telefono, aggiusta il tiro a scanso di equivoci: «Non è un’indicazione di voto, ma la constatazione di un flusso che proviamo ad arginare». Fra i suoi sono molti diffusi i mal di pancia per il «sondaggio segreto» (commissionato e rivelato dal rettore, proprio per dimostrare l’inaffidabilità di indagini soltanto «sul voto d’opinione») che vedrebbe il movimento di Cardinale «fra l’uno e il due per cento». Ma l’ex ministro non si scompone. Perché ha due certezze. La prima: «Questa partita deve ancora cominciare. E Micari, nonostante i tanti errori di alcuni nostri amici, se la gioca fino in fondo». La seconda: «Sicilia Futura sarà decisiva. Chiunque vorrà governare la Sicilia dovrà fare i conti con noi».

E Giuseppe Castiglione, viceré siciliano degli alfaniani, respinge con forza i rumors su un voto disgiunto di Ap per Musumeci: «Non esiste proprio, noi siamo allineati e coperti. Il centrosinistra fa corsa su Cancelleri, la sfida è fra noi e il M5S. Nello favorito? Macché. È molto meno forte di quanto voglia far apparire: il nervosismo e la fuga dai confronti lo dimostrano. Il vero voto utile è per la coerenza e la competenza del ticket Micari-La Via».

Twitter: @MarioBarresi

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