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Regionali, palchi divisi per centrodestra ma poi tutti a tavola

Di Mario Barresi |

Catania – «Il presidente sta riposando». Quando, all’ingresso dell’hotel, si presenta l’impresentabile, la risposta è garbata. Ma secca. Riccardo Pellegrino, candidato di Forza Italia all’Ars, incensurato noto per il suo vago inneggiare alla mafia, non riesce a coronare il sogno di stringere la mano al Cavaliere. Indesiderato alla convention delle Ciminiere, rimbalzato a Villa del Bosco. Ma candidabile e dunque candidato, forse molto votato, magari persino eletto. Ma ieri assente dalla scena.Perché in questa giornata catanese non c’è né Mascagni, né Verga. Magari un po’ di Brancati, ma soprattutto Kakfa e Carlo Cracco. Illusioni e illusionisti, calori e calorie, pesci d’aprile e pesci all’acqua pazza, ospiti d’onore e imbucati, colpi sotto la tovaglia e sotto la cintola. È il grande giorno. Quello del centrodestra unito per Nello Musumeci e spezzettato in più palchi, in più menu. È il giorno di Catania, che torna capitale di Forza Italia e si stringe con molto più trasporto di Palermo al suo ex presidente della Provincia. Ma è anche il giorno delle contraddizioni e dei siparietti, dei rospi ingoiati e delle polpette avvelenate. Dalle cene della beffe al quasi-conclave, fino al patto dell’arancino. A notte fonda.

L’ARRIVO DEL CAVALIERESi comincia all’ora di pranzo. Che è quasi una merenda. Alle 15,12 Silvio Berlusconi entra a Villa del Bosco. Con lui la compagna Francesca Pascale, il commissario siciliano di Forza Italia Gianfranco Miccichè e il coordinatore cittadino Giuseppe Arcidiacono. «A Palermo non hanno pranzato». E dunque si improvvisa un pasto per tutti. Al piano della suite da 700 euro arrivano caponata (il Cav la adora), insalata di arance e finocchi, verdure bollite, mezzi paccheri al ragù, filetto di vitellino panato al pistacchio di Bronte, tonno scottato. Poi un riposino. La giornata è lunga. Abbiamo appena cominciato.

IL SIT-IN DI MELONIAlle 16,30 a piazza Stesicoro, infatti, è attesa Giorgia Meloni. Non un comizio, ma una raccolta di firme contro lo Ius Soli.Fra gli attivisti di Fratelli d’Italia c’è Nino Strano. Che ci fa qui l’ex senatore di An? «Abbordo donne!». Scherzi a parte, «sono uno uno di quei pochi coglioni che con la politica s’è rovinato». Ma perché ci dice ciò? «Perché alle Europee Fini mi disse di candidarmi e che il partito avrebbe finanziato la mia campagna elettorale. Mi arrivarono 20mila euro, per gli altri 260mila ho venduto una bottega in via Umberto». E dunque «fuori dalla politica attiva, ma con il cuore per Musumeci, che conobbi nella segreteria dell’onorevole missino Vito Cusimano. Siamo della stessa pasta». Strano è passato alla storia per come Mister Mortadella, per il bizzarro festeggiamento in Aula dopo la caduta del governo Prodi. «La mortadella la portò Gramazio, ma io sono molto più carino di lui e tutti fotografarono me. Chiesi scusa a Prodi, che mi mandò una stupenda lettera. Scritta a mano, non come oggi che si fanno anche le condoglianza via sms». Arriva Ignazio La Russa. Che rispolvera la sua indole movimentista di agit-prop. «Ragazzi, prendete tutte le bandiere… tenetele unite», gracchia al megafono con la sua inconfondibile voce. Ai microfoni, invece, consegna la profondità di un detto siciliano: «Musumeci è la speranza. Sutta ‘u funnu di Crocetta c’è ‘u sprufunnu dei 5stelle…». Eccoli, Meloni e Musumeci, accompagnati da Manlio Messina, portavoce etneo del partito. «Sento profumo di vittoria, ma non mi illudo», dice l’aspirante governatore. E la leader di FdI, primo suo sponsor nazionale, scandisce: «I veri impresentabili sono i cinque stelle». Applausi. E parte, più o meno spontaneamente, il coro chiamato da Nello. Che, con La Russa sovrastante all’altoparlante, diventa più o meno: «Lo dige la gggente, Nello bresidenteee». Meloni, sull’incontro con Berlusconi e Salvini, dice: «Sono molto contenta che avvenga in Sicilia a due giorni da una campagna elettorale molto importante nella quale Fratelli d’Italia aveva chiesto compattezza e chiarezza, che sono le stesse richieste che faremo anche a cena: di essere compatti nelle prossime elezioni politiche, ma di farlo su un programma che dica prima gli italiani»

LA CONVENTION DI FORZA ITALIAMusumeci, ancor più di Pippo Franco mezzo laziale e mezzo romanista, lascia il sit-in e corre alle Ciminiere. Dove lo aspetta il popolo di Forza Italia. Per la convention con Berlusconi. All’ingresso i galoppini dei candidati distribuiscono “santini” come fossero menu a prezzo fisso in via Etnea. Ce n’è anche uno, provocatorio e guascone, dei 5stelle. Rischia il linciaggio. Capisce che non è aria. Evapora. La sala da 1.200 posti è piena come un uovo, altri 700 in tribuna; gente anche fuori. Nel foyer, varie umanità forziste. Compreso Salvo Torrisi, alfaniano pentito, ostinato presidente della commissione Affari costituzionali. «Sto con Nello. Il ritorno in Forza Italia? Io mi ispiro al Ppe». Accanto a lui Pippo Pagano, altro ritorno di peso. Poi gli azzurri puristi. Come il senatore siracusano Bruno Alicata: «La cura Berlusconi per Musumeci in affanno? Non lo so. Noi, comunque, saremo decisivi». E i forzisti last minute, come Alessandro Porto, che rimosse i 6×3 della sua candidatura col centrosinistra solo dopo l’ingresso nel centrodestra, a sorpresa, il giorno della presentazione delle liste. Ma qui si sente a casa, nevvero? «Non rilascio interviste. Ma le do un volantino: vota Porto, Forza Italia e Musumeci». Accanto a lui se la ride l’autonomista Dino Fiorenza, deputato uscente non ricandidato.

Nessuno della lista nera degli impresentabili è avvistato. La polvere, alle Ciminiere, resta sotto il tappeto.

Dopo l’inno forzista, quello di Mameli. Tutti in piedi, ma Gaetano Armao non canta. «Perché fin quando i siciliani saranno considerati italiani a metà, io sto in piedi ma sto zitto». Entra il bravo presentatore Ruggero Sardo. Introduce, raccogliendo il testimone palermitano di Micciché, il padrone di casa Salvo Pogliese. «Silvio lo conosceva poco, ma in questi giorni l’ha apprezzato. È pazzo di lui», confessano fonti azzurre. L’europarlamentare rivendica «l’effetto benefico della presenza del presidente a Catania: ci farà vincere le Regionali, la madre di tutte le battaglie». Poi parla Musumeci. Che qui, alle Ciminiere, gioca in casa. «Questo posto l’ho inventato io», dice con un tono che sembra quello del suo concittadino Pippo Baudo. La platea forzista, con lui molto più calorosa di quella di Palermo, lo acclama come un leader autentico. «Nello, Nello, Nello…». Un chiaro messaggio della base ai dirigenti litigiosi. Non a caso si coglie il sorriso sornione di Raffaele Stancanelli, il Richelieu di #DiventeràBellissima. «Abbiamo rigenerato il centrodestra», rivendica Musumeci. Ammettendo: «Con il contributo di tutti gli alleati». Un attacco alla «mala pianta della mafia» che «non riuscirà a fermarci». E poi l’invettiva a 5stelle: «Vergogna, vergogna, vergogna!. Noi non vi consegneremo questa terra». Ovazione. E infine la rassicurazione divina: «Ce la faremo, perché Dio è dalla nostra parta».

Anche Berlusconi, osannato sul palco, toccherà i fanti e pure i santi. «Dobbiamo crederci, vinciamo qui e poi nel Paese. Chi ci crede, vince. In questi giorni – concluderà il suo discorso – fate una preghiera convinta a Sant’Agata. Con Nello Musumeci, assoluta garanzia di onestà e competenza, possiamo vincere». Per il resto sembra la terza serie di una fiction: 1994, il titolo. Il tempo sembra essersi fermato. «Cos’è cambiato in 23 anni? Silvio – assicura un’ammirata Stefania Prestigiacomo – non è più un imprenditore che scende in campo, ma uno statista riconosciuto a livello mondiale».

Berlusconi apre l’intervento con un tenero ricordo di Umberto Scapagnini, «è stato un fantastico sindaco, un mio amico e il mio medico». In quest’ultima veste «fu il primo a dirmi che avrei potuto vivere per 120 anni, ce la sto mettendo tutta». Applaude Tuccio D’Urso, mitico braccio destro e uomo delle rotonde di scapagniniana memoria.Il discorso alla carta è molto da ristorante vecchio stile. L’ex premier, che torna a Catania dopo 9 anni, rispolvera il mai tramontato «meno tasse e meno Stato». Rilancia la costruzione del Ponte sullo Stretto e l’istituzione di un casinò a Taormina. «Bisogna incrementare il turismo, guardate Malta!». Le novità? Il taglio del 100% delle imposte «per i primi due, tre anni», ai siciliani che dall’estero torneranno nell’Isola». E poi, soprattutto, un «Piano Marshall» per la Sicilia («di almeno due-tre-quattro-cinque miliardi all’anno»), un’idea lanciatagli da Musumeci durante l’aperitivo palermitano di mercoledì sera. Non nomina né il Pd, né Renzi, né Crocetta. Il nemico, in Sicilia, per il Cav è il M5S: «Avete avuto dominazioni così nobili, volete ora farvi dominare da Grillo?», chiede alla platea. Affonda su Di Maio: «Hanno un leader che con 159 colpi di telefono si è candidato si è trovato a fare il vice presidente della Camera». Gli risponderà il candidato premier dei 5stelle: «Noi per prendere voti non solo non abbiamo bisogno di telefonate ma a differenza di Berlusconi, di Musumeci e di Fi non abbiamo bisogno neppure dei voti dei galeotti, dei corrotti e dei mafiosi».

Per il resto è tutto molto vintage. Compreso quello che un viveur catanese, fortunato frequentatore delle notti romane in era berlusconiana, definisce «ticchettio di tacco dodici» con deliziosa allitterazione. Una dama misteriosa – top nero, pantalone bordeaux, lunghi capelli neri – incanta la sala, sfilando nel corridoio centrale nel tentativo, infruttuoso, di incrociare lo sguardo di Silvio. Ci riusciranno le avvenenti hostess dell’evento. «Loro devono stare fuori!», avrebbe intimato la fidanzata Pascale a Barbara Mirabella di “Expo”, che si . Anche per il precedente appena rivelato da Silvio sul palco: «Attendevo la macchina ai piedi del mio aereo e ho parlato qualche minuto con una hostess. E, lei, poco dopo, al mio comandante ha detto “ma che simpatico è il suo proprietario, quanti anni ha?” E il mio comandante ha detto: “Lei cosa dice, che età dimostra?” “Cinquantanove anni”, ha risposto lei. La sto ancora cercando…». Risate a crepapelle come ai bei tempi delle barzellette. Tradizione e innovazione, come nello sguardo di Vittorio Sgarbi – fisso sulla deputata Gabriella Giammanco – mentre il vicepresidente designato, Armao, prova a spiegare al critico d’arte come gestirà il buco di bilancio siciliano.Finisce con un tripudio. «Come ogni volta che Silvio c’è», certifica Micciché.

IL COMIZIO DI SALVINIInfine, piazza Bellini. Dove c’è il comizio di Matteo Salvini. Sempre con Musumeci – uno e trino – sul palco. «Matteo è presente nel cuore e nella mente dei siciliani, per questo ora riempie anche le nostre piazze per dare forza alle nostre liste, le uniche davvero pulite», grida Angelo Attaguile, ex dc e mpa, ma ormai da tempo immemore alfiere siciliano della Lega «che ha tolto il Nord dal simbolo». Applausi. Per il candidato: «Come diceva Cocciante, se stiamo insieme ci sarà un perché». E per il leader. Che promette: «Rimanderemo indietro i galeotti che arrivano dal nord Africa, uno per uno» e propone «concorsi regionali per gli insegnanti, per evitare la deportazione al Nord». E, dopo aver ammesso il sacrificio della partita del Milan in tv, urla pure un pallonaro: «Forza Catania!». Al termine, salutato anche Sgarbi che sale sul palco leghista, Salvini precisa ai giornalisti che gli chiedono della cena: «Noi non facciamo prove generali di governo in Sicilia, solo Grillo può pensarlo, solo lui può pensare che la Regione sia una cavia per destare l’incapacità del M5S. Il voto per me si chiude domenica sera e riguarda solo la Sicilia. Del resto parlo di lunedì in poi».

LA CENAI comizi sono finiti. Comincia la lunga partita a scacchi, aperitivo prima della cena unitaria. Salvini sta già mangiando altrove: con un gruppo in cui c’è anche il senatore forzista Enzo Gibiino, al “Sicilia in bocca” di piazza Lupo. «La cena? Ci andrò solo per un caffè», prende le distanze il capo del Carroccio. «Non c’è un duello Berlusconi-Salvini, ma Matteo con un certo tipo di politica non vuole avere nulla a che fare», dicono i suoi. Meloni aspetta in un luogo segreto nelle vicinanze, di Berlusconi non c’è notizia. Serpeggia la voce che la cena farà la stessa fine del comizio unico. Decine di giornalisti, più curiosi e sfaccendati aspettano gli altri alla trattoria del Cavaliere (nomen omen), che – come annunciato ieri dal nostro giornale – è la sede della reunion del centrodestra. Il primo ad arrivare è proprio l’ospite inatteso: alle 21 puntuali, si materializza Lorenzo Cesa, capo dell’Udc. Se davvero il vertice di coalizione dovesse esserci, meglio farsi trovare già attovagliato. Alle 21,35 entra Musumeci. «Catania questa sera ha riconsacrato l’unità del centrodestra. Si dice che la Sicilia sia un laboratorio politico, io me lo auguro e confesso che in giro c’è tanta voglia». Chi pagherà l’eventuale conto? «Spero sia alla romana», ironizza il candidato. Che, da galantuomo affamato, trascorrerà almeno un paio d’ore in attesa di tutti gli altri. Ci sarà stato un triplice segnale di fumo. Perché alle 22,55 sbuca Meloni. Noi siamo qui per parlare del futuro del Paese, non so se nel centrodestra tutti si rendono conto delle responsabilità che abbiamo di fronte agli italiani», dice Meloni all’ingresso della trattoria. Poco dopo – alle 23,15 – ecco Berlusconi (con Micciché, reduci da un incontro con i giovani di Fi) e quasi in contemporanea Salvini. «Sono qui per bere un caffé e un ammazza-caffé e salutare il prossimo governatore della Sicilia». E così nel privée il tavolo diventa per sei: i quattro leader nazionali, Musumeci e l’immancabile Sgarbi, un piacevole £prezzemolino” imbucato fra i leader. La prima notizia che filtra: Salvini sta mangiando. Assaggia, con gusto, gli arancini nonostante abbia già cenato. Altro che caffè… Fra lui e Berlusconi un «lungo abbraccio», raccontano i presenti. Con Silvio il «primo argomento che abbiamo affrontato è stato il Milan. È una nota dolente per entrambi», rivela Salvini uscendo per fumare una sigaretta. Si aspettava l’enciclica della polpetta, ma alla fine è un conclave dimezzato. Soltanto la “tregua della cernia all’acqua pazza”, esplicitamente chiesta (la pietanza) dal Cav, che comunque ha mangiucchiato altro. Niente accordo sul governo? Quando arriva la torta con le facce dei leader stampate sopra la panna (Berlusconi con la Pascale, Salvini, Musumeci e Pogliese; ne manca qualcuno…) si allenta la tensione. «C’è un clima ottimo sulla Sicilia», rivela una fonte forzista. È l’una di notte. «Ma comu finiu?», si domanda un viandante preoccupato per le magnifiche sorti e progressive del Paese. La cena è finita, ma non andate in pace. Berlusconi, Salvini e Meloni parlano in veranda; Cesa li ascolta. Sono soltanto loro quattro. Cosa si saranno detti? Un accordo con Lega e FdI? «Eravamo già d’accordo» e il patto «è stato già siglato», dice il Cav al termine, ricordando come si siano gettate le basi «del percorso per vincere le elezioni».

Sono le due di notte. Meloni: «Mi sembra presto per dire che abbiamo chiuso l’accordo sul programma di governo. Quello che vogliamo costruire è un programma serio e concreto che non si esaurisce in una cena alle undici di sera. Credo che la volontà di di dare all’Italia un governo di patrioti sia comune. Non abbiamo di parlato premiership, di nomi, ma di obiettivi da darci che sono quelle di dare all’Italia un governo che faccia gli interessi degli italiani». Ma cos’è allora, il patto dell’arancino? «Sì, un’idea mia. Gli arancini ce li siamo anche mangiati: quindi assolutamente patto dell’arancino». Tace Salvini, che il Ponte di Silvio non lo vuole ma l’arancino l’ha mangiato pure. E gli è pure piaciuto. Altro che «passo solo per un caffè»… L’incontro c’è stato, per oltre due ore. E, entrati separatamente dopo aver giocato a nascondino, i tre leader escono assieme sorridenti.L’amaro? Quello sì, grazie. Per digerire. Il giorno del centrodestra sbudellato e poi attovagliato, a Catania, ormai, è poco più di un selfie. Da oggi si ripensa alle Regionali. Per un paio di giorni. E poi si penserà alle Politiche. Con l’arancino non più sullo stomaco. Ma nell’anima.Twitter: @MarioBarresiCOPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA