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Super burocrati della Regione, il piano di Musumeci: «Turn over del 50%»

Di Mario Barresi |

Già, i dirigenti generali della Regione – di loro si parla – sono come nella strofa di Venditti: non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.

È il tempo delle scelte, nei 27 dipartimenti. La legge sullo spoil system concede 90 giorni dall’insediamento di Nello Musumeci, avvenuto il 19 novembre. Entro metà febbraio si dovrà decidere sul destino dei dirigenti.

Con quale linea? «Nessun pregiudizio – mette le mani avanti Musumeci – come ho detto in campagna elettorale». Ma la rotazione ci sarà, come «scelta dovuta da esigenze di trasparenza e di rimotivazione». Il presidente ne è certo: «Svolgere nuove competenze è uno stimolo in più per chi vuole lavorare». L’impatto? «Riteniamo di dover cambiare la metà dei dirigenti», anticipa. E «per coprire i posti, attiveremo una sorta di interpello per coinvolgere altre fasce di dirigenti». Un modo, sostiene Musumeci, per «stimolare l’emersione dei talenti sommersi». Il governatore lancia un insolito appello: «Chi ha l’ambizione di assumere ruoli di responsabilità, si faccia avanti, solo col curriculum». Perché, giura, «i tempi in cui il dirigente doveva essere segnalato dall’amico del giaguaro sono finiti».

Intanto, impazza il toto-dirigente. A partire da chi è ritenuto “blindato”. Come Giovanni Bologna, ragioniere generale: lui ambirebbe al vertice dell’Ufficio legislativo e legale (vuoto dopo la nomina di Maria Mattarella a segretario generale al posto di Patrizia Monterosso), ma l’alto burocrate, stimato da Musumeci quanto da Gaetano Armao, dovrebbe restare al Bilancio. Un altro intoccabile è Fulvio Bellomo: resta alle Infrastrutture. E fra i confermati dovrebbero esserci anche Calogero Foti (Protezione civile), Maria Elena Volpes (in rialzo le quotazioni ai Beni culturali), Dario Cartabellotta (Pesca, anche se lui vorrebbe tornare all’Agricoltura) e forse anche Fabrizio Viola (Corpo forestale) e Gianni Silvia, alla Formazione fino al pensionamento a metà 2018.

Il resto dei dirigenti è nel limbo. Dalla Programmazione è dato fuori Vincenzo Falgares: destinazione Affari extraregionali (al posto di Gaetano Pennino), lasciando la gestione dei fondi Ue a un esterno molto stimato da Musumeci: Roberto Sanfilippo, ex capo di gabinetto di Raffaele Stancanelli a Palazzo degli Elefanti. Un’altra staffetta alle Finanze: Gaetano Chiaro più fuori che dentro. Se a subentrargli dovesse essere un interno, il favorito è Maurizio Pirillo, in atto alle Autononie locali. Ma Armao ha anche altri nomi in tasca. Molto caldi i dipartimenti dell’assessorato di Bernadette Grasso: ad ambire al posto di Pirillo è Salvo Taormina (segretario generale con Totò Cuffaro), che però Roberto Lagalla vorrebbe con sé alla Formazione. Alla Funzione pubblica è data con le valigie Luciana Giammanco, che potrebbe andare al Turismo (ma Sandro Pappalardo valuta anche altre idee) o saltare il turno. Alla porta del Personale bussa una aspirante neo-dirigente: Margherita Rizza, che ha vinto il ballottaggio col marito Ugo Callari. Al terminal partenze delle Attività produttive Alessandro Ferrara, con l’annunciato ritorno di Rosolino Greco (ex capo del Fondo pensioni) al suo posto. In viale Campania s’è insediato Salvo Cocina, in trincea su Acqua e rifiuti; in calo le azioni di Domenico Armenio all’Energia. Freddezza, in Famiglia e Lavoro, sulla permanenza di Mario Candore e Antonio Parrinello, così come, al Dipartimento regionale tecnico dell’assessorato alle Infrastrutture, per Vincenzo Palizzolo. All’Agricoltura Gaetano Cimò punta alla conferma, minori le chance di Dorotea Di Trapani allo Sviluppo rurale e di Maria Cristina Stimolo al Turismo, sport e spettacolo. L’assessore alla Salute, Ruggero Razza, toglierà a Salvo Giglione almeno uno dei due dipartimenti (Pianificazione strategica e Osservatorio epidemiologico) che gestisce in contemporanea. Sulla scelta del successore – o dei successori – c’è una rosa di nomi importanti. All’assessorato al Territorio uno dei due fra Sara Barresi (Ambiente) e Carmelo Frittita (Urbanistica) potrebbe risultare di troppo.

La partita è importante. E non soltanto per una questione di prestigio. È stata abolita, infatti, la “clausola di salvaguardia” che obbligava il governo a garantire al dirigente defenestrato un incarico equivalente dal punto di vista economico. Metà dei super burocrati, dunque, tornerebbe a fare il dirigente semplice. E scusate se è poco.

Twitter: @MarioBarresi

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