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Da Arcore a zero (virgola): le parole di un’orrenda campagna elettorale

Di Mario Barresi |

B come Berlinguer. Una delle icone della sinistra che si presenta ancora una volta spaccata alle urne. I dem non la rappresentano più? Forse sarà pure così, dopo la svolta moderato-padronale del PdR (Partito di Renzi). Nel partito restano i delusi in attesa di capire cosa succederà oggi; Leu, che ha rifiutato l’accordo col Pd, raggruppa quasi tutte le forze, ma viene superata (a sinistra) da Potere al Popolo che addita i «compagni che sbagliano» di essere troppo radical-chic oltre che guidati da leader vecchi e rancorosi. «Continuiamo così, facciamoci del male», direbbe Nanni Moretti.

C come confronti. Annunciati e auspicati, ma poi regolarmente cancellati. Nessun faccia a faccia fra i leader, che ai duelli hanno preferito i monologhi alternati in tv. Per i politici una strategia trasversale per evitare di perdere consensi. Per i cittadini una noia mortale. Ma soprattutto la mancata opportunità di raffrontare gli altri convitati di pietra di questa campagna elettorale: i contenuti, i programmi.

D come desaparecidos. Lasciare la politica dopo decenni di onorata occupazione delle poltrone. E sparire. Dai titoli dei giornali, ma soprattutto dalla scheda elettorale. Per scelta o per costrizione, per dignità propria o per accanimento altrui. Dal passo di lato dell’immarcescibile Alfano, alle rinunce – mala tempora currunt – di Finocchiaro e Bindi ai tanti “epurati” di Renzi anche in Sicilia, fra i quali spicca l’eterno senatore Lumia. Sentiremo la loro mancanza?

F come Fantacalcio. La lista dei ministri inviata da Di Maio al Quirinale via mail ha fatto sorridere i puristi del diritto costituzionale. L’aspirante premier del M5S è già salito al Colle (ricevuto, per garbo, dal segretario di Mattarella) e ha poi “nominato” la sua squadra, come nel weekend si fa la formazione del Fantacalcio. Prima ancora che: a) ci siano le elezioni; b) vincano, eventualmente, i grillini; c) il Capo dello Stato gli conferisca l’incarico di formare il governo. Soltanto eiaculatio precox da dilettante della politica? Magari non è proprio così. Perché anche il nemico Renzi (che sulla comunicazione, prima di sbagliare una serie incredibile di mosse, ha costruito le sue fortune) riconosce a Di Maio l’efficacia della strategia: da quando si parla – nel bene o nel male – dei ministri virtuali, è scattato il cono d’ombra mediatico sui mancati bonifici dei furbetti dello scontrino.

G come governabilità. Il timore degli euro-soloni (che non si fanno mai i fatti loro), ma anche l’alibi per giustificare incesti politici post voto. A parole sono tutti contro gli inciuci, nei fatti ci sono almeno due-tre scenari di alleanze già pronti, dei quali la stragrande maggioranza degli italiani che oggi voteranno (per un partito o per una coalizione) non sono consapevoli. Ma la campagna elettorale costa, della rielezione non v’è certezze: e dunque anche in caso di stallo, la maggioranza del “se non vince nessuno si torna alle urne” si scioglierà al primo sole di primavera. Per garantire la governabilità del Paese, s’intende.

I come immigrazione. Uno dei pochi temi affrontati (o meglio: strumentalizzati) in questo mese di contesa elettorale. A destra la corsa a impaurire di più il cittadino insicuro, sventolando il fantasma nero. A sinistra la difesa, talvolta troppo incondizionata, dell’accoglienza a tutti i costi. In mezzo un qualunquismo governativo, combattuto fra la goffa rivendicazione di quello che si voleva fare e non s’è potuto fare (lo Ius soli) e la stretta del Viminale in stile law&order

L come Lega (senza più Nord). Magari lo sbianchettamento di Salvini non renderà al Sud così come il leader del Carroccio s’aspetta. Ma la svolta “nazionalista” avrà di un risultato certo: un drappello di leghisti-terroni in Parlamento al grido di «prima gli italiani».

M come manifesti. Un cimelio, ormai. Anche le mitiche sfide nei collegi sono anestetizzate da un voto d’opinione conteso fra ospitate tv e social. E a farne le spese sono i 6×3: spariti dalle città. Con loro anche la letteratura, un po’ romantica, dei giovani e appassionati militanti impegnati in sfide notturne per affiggerli. Resistono i “santini”: sempre utili, a maggior ragione se ancora non s’è ben capito come si vota nella scheda. Sotto il Vulcano segnalati volantini dem in versione double face: lui alla Camera, lei al Senato.

P come paracadutati. Centinaia di candidati (presunti big, peones, ex miss, vecchi tromboni e aspiranti trombati) catapultati dai leader di quasi tutti i partiti, complice il diabolico meccanismo del Rosatellum, alle più disparate latitudini. Gli effetti collaterali sono grotteschi: la toscana Boschi che si arrabatta fra granite taorminesi e sfilate al carnevale altoatesino di Salorno, la romana Lorenzin che visita «l’eccellenza funeraria modenese», la palermitana Vicari che sfida la neve per incontrare gli imprenditori di Vigevano.

Q come quote (rosa). L’obbligo di rappresentanza di almeno un genere nel 40% di capilista e candidati nei collegi è stato bellamente dribblato da partiti e coalizioni ancora profondamente sessisti. Nella forma le pari opportunità sono state garantite, nella sostanza – per una serie di trucchetti, cervellotici incastri nelle liste e candidature-fantasma – non lo saranno. Scommettiamo che, a conti fatti, le donne elette in Parlamento saranno meno (molto meno) di 4 su 10?

S come scoop. Dalla rimborsopoli grillina scoperta dalle Iene all’inchiesta di Fan Page sullo scandalo rifiuti in Campania che imbarazza il Pd, fino al fuorionda di Salvini, Fitto e Meloni sulle paure del centrodestra colto dal Corriere. Incideranno sul voto? In attesa di saperlo, le archiviamo come boccate di sano giornalismo.

U come utile (voto). La più ipocrita devianza della politica italiana. Che prima vota (con robusta maggioranza) un sistema elettorale in cui il maggioritario è una riserva indiana e il proporzionale eterodiretto è il core business, poi permette anche le “adozioni a distanza” (ad esempio: Tabacci con Bonino) pur di scongiurare il fastidioso obbligo di raccolta delle firme per presentare le liste. Infine, dopo aver scientemente polverizzato l’offerta elettorale con il fondato rischio che dalle urne non verrà fuori alcuna maggioranza, i leader si affannano negli appelli sulla presunta utilità-inutilità di un certo tipo di voto. Pura follia, se non fosse anche malafede.

V come violenza. Fisica, in scontri fra opposti estremi rosso-neri: amarcord anni 70 di cui non si sentiva la mancanza, pur nel rispetto di valori sacri come l’antifascismo. Che, in ogni caso, non giustifica i pestaggi. Ma anche violenza verbale: questa campagna elettorale è stata una pacchia per gli hater del web. Pecore nella vita, leoni con la tastiera. Nell’era di Chiara Ferragni ci meritiamo anche loro: i truci influencer della più brutta campagna elettorale degli ultimi decenni.

Z come zero (virgola). Le percentuali attese per liste-meteora e partiti in via d’estinzione. Ma anche la differenza decisiva per entrare in Parlamento. O per far saltare il banco del Rosatellum. Sarà una lunga notte. Decisa da una percentuale infinitesimale.

Twitter: @MarioBarresi

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