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Enzo e Nello, i due “gemelli diversi”

Di Mario Barresi |

Catania. Quando loro due erano già saldamente in poltrona, agli albori della cosiddetta “Primavera di Catania”, Ruggero Razza – assessore regionale alla Salute, enfant prodige del centrodestra siciliano, accolto ieri con deferenti onori nel municipio della sua città – non aveva l’età. Nemmeno per guidare il motorino.

Loro due. Enzo Bianco e Nello Musumeci: gli avversari mai nemici, i sodali mai alleati. Con una strana coincidenza: non si sono mai affrontati in alcuna elezione. Quando in campo c’era uno, l’altro non c’era. Nessuno dei due catanese purosangue (uno nato ad Aidone; l’altro fiero paesano di Militello), ma entrambi protagonisti dell’ultimo trentennio della storia politica e istituzionale della città. Due linee parallele (repubblicano il primo; missino il secondo) che però finiscono per incontrarsi. Da metà degli Anni 90, quando Bianco è sindaco e Musumeci presidente della Provincia. Ed è in quell’epoca, che la cohabitation in salsa alla Norma si manifesta fino ai primi vagiti del 2000. Con lo «spirito di leale collaborazione istituzionale, da colori politici diversi, che con il presidente abbiamo già sperimentato in passato» ricordato ieri mattina dal sindaco. «Una forma anche operativa di collaborazione permanente» grazie alla quale Musumeci sa «di poter contare su questa città, un perno essenziale dell’Isola». E il presidente della Regione ricambia, davanti ai giornalisti, ricordando «lo spirito di collaborazione istituzionale, senza faziosità né appartenenze». Per un attimo sembra un endorsement, quando Musumeci augura a Bianco di «poter completare nel migliore dei modi il suo lavoro…», aggiungendo però – dopo un’interminabile pausa – «… fino alla scadenza del suo mandato».

Un manuale del fair play. Tanto ben scritto da far sorgere, fra i più maliziosi, il sospetto che la visita istituzionale del governatore a Catania sia un soccorso armato al sindaco sotto pressione dopo l’inchiesta che ha coinvolto la sua “fioriera magica”. «La visita era programmata da tempo – smentiscono dallo staff di Palazzo d’Orléans – e il presidente non voleva avvicinarsi troppo al clima elettorale». Del resto, ricordano i rispettivi biografi, i due non hanno mai usato toni duri né attacchi scomposti. L’unica rottura dell’idillio alla conclusione della scorsa legislatura all’Ars, quando Musumeci (da presidente dell’Antimafia) sforna il dossier sulle presunte infiltrazioni nel consiglio comunale etneo. «Ci sono rimasto davvero male», ricorda ancora oggi il sindaco. «Ma poi abbiamo recuperato il rapporto». Fino al punto che, rivelano dal suo entourage, Bianco non avrebbe lesinato complimenti quando il suo «amico Paolo» (il premier Gentiloni) gli ha chiesto le referenze del successore di Crocetta: «Nello è un galantuomo e un ottimo amministratore».

Loro due, adesso. Oggi. Bianco di nuovo in campo per la più difficile campagna elettorale della sua vita, con Musumeci incalzato dagli uomini del centrodestra catanese affinché spinga al massimo per far vincere il forzista Salvo Pogliese. E il presidente dei (poco più di) cento giorni, a Palermo a combattere, fra la pesantezza dell’eredità e la leggerezza di alcuni elettorali, la battaglia di una vita. L’ultima, «dopo di che mi ritirerò coi cani in campagna a Militello», ma con davanti quattro anni duri. E l’esigenza di avere il sostegno del sindaco della seconda città più importante dell’Isola. L’unica uscita ufficiale di Musumeci nella campagna elettorale delle Politiche è stata al fianco del suo Raffaele-Richelieu Stancanelli, in quell’occasione uscì candidatura di Pogliese. Nello sa da che parte stare. Se dovesse andare male, non sarebbe un dramma.

Loro due. Un selfie, ieri mattina, per rivitalizzare la foto seppiata dello scorso millennio. Una “Primavera” oggi infreddolita, ma indelebile nei ricordi. Enzo e Nello, da un quarto di secolo “gemelli diversi”. Distinti, ma non distanti. Certo, bisognerebbe chiedersi perché – dopo così tanto tempo – uno aspira al suo quinto mandato da sindaco e l’altro è stato decisivo per far tornare il centrodestra vincente alla Regione. E magari si scoprirebbe che nessuno dei due ha potuto (o voluto) crescere un vivaio all’altezza. Oppure che, per incapacità endemica, più d’una generazione di classe dirigente catanese è scivolata via. Senza lasciare traccia.

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