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Le buone “zie” etnee dei gattini randagi

Di Maria Ausilia Boemi |

Nonostante non siano tutte rose e fiori: il numero delle volontarie sulla carta è di oltre 30, ma quelle attive con regolarità sono una quindicina, che si prendono cura dei gatti nel rifugio che si trova nella casa del custode (senza valore storico) a Villa Curia: «Un lavoro pesante perché non ci sono giorni in cui ci si possa esimere. Tutto il nostro lavoro al rifugio è improntato sulla pulizia dei locali e dei gatti e sulla prevenzione. Al rifugio, che è struttura del Comune, tra l’altro non abbiamo neanche l’energia elettrica, in una stanza dal tetto piove (sono venuti qualche mese fa a fare la riparazione, ma senza successo), lavoriamo in una situazione di disagio. Abbiamo più volte chiesto di avere un’altra struttura del Comune, ma qualsiasi immobile, magari anche abbandonato e depredato da anni, a noi non lo danno».

Attualmente sono circa un trentina i gatti seguiti dall’associazione: «Facciamo un turn over di mici: man mano che escono quelli che ci sono, ne entrano altri. Non essendoci la possibilità di grandi spazi (tre stanze), dobbiamo per forza alternarli. I gatti escono dalla struttura per due motivi: uno è che purtroppo a volte qualcuno muore, l’altro è l’adozione. Raramente, dopo essere stati sterilizzati, vengono inoltre reimmessi nel loro territorio gatti particolarmente selvatici». E ora inizia il periodo delle cucciolate: «A settembre avevamo 90 gatti, anche perché il periodo dei cuccioli coincide con quello estivo di minori adozioni».

Le “zie” aristogatte si prendono cura dei randagi, di gatti incidentati, di cuccioli abbandonati da allattare. «Ma è una cosa che possiamo fare con un certo limite, per carenza di volontari che possano allattarli: non tutte le volontarie, pur volendolo, possono farlo, perché lavorano, hanno impegni, famiglia. Ho cercato tempo fa di organizzare una rete di persone, magari anziane e in pensione, che allattassero, ma purtroppo non ci sono riuscita. Ho quindi solo due ragazze che allattano, si dice no raramente e quindi ci si ingolfa. Poi la parte più importante è l’adozione: avendo degli spazi limitati, non possiamo, ma neanche vogliamo, tenere tutti i gatti. È giusto che questi animali abbiano una famiglia che li possa seguire e supportare in tutte le loro esigenze». Adozioni in tutta Italia, ma anche all’estero, tramite ambasciate.

Tantissimi i modi per aiutare questi randagini: «Uno dei più importanti è aumentare la rete dei volontari, perché più siamo e più possiamo fare. Un grande aiuto è anche quello di fornirci medicinali, coperte, croccantini, cibo per i cuccioli. Poi, ovviamente, le adozioni, anche a distanza. Si possono infine fare donazioni in denaro (l’associazione ha un codice Iban), ma vanno benissimo anche le donazioni di beni di prima necessità». Le Aristogatte si possono contattare tramite la loro pagina Facebook, dove viene pubblicato un diario di ciò che fanno e si dà spazio anche ai privati che vogliono mettere in adozione i loro gattini: «Lo facciamo perché gli animali sono tutti uguali: certamente è più bello fare uscire i gatti che sono nel rifugio che, per quanto sia pulito e confortevole, è sempre un rifugio e, come tale, i gatti abituati a stare in un ambiente domestico, lì si sentono abbandonati».

Ma perché accogliere in casa un randagino piuttosto che comprare un gatto di razza in un negozio? «Secondo me – sottolinea Vera Russo -, non si prende un animale per una questione di bellezza: un animale deve riuscire a darti tenerezza, amore e queste emozioni te le dà anche l’animale che non è di razza. E se prendi un animale per una questione affettiva, quello che ti può dare un gatto – o un cane – adulto che ha già sofferto, che ha vissuto l’abbandono o si è smarrito, è più importante di quello che ti può dare un cucciolo. Tra l’altro, molte persone cercano i cuccioli per i bambini: ma questa cosa è in parte sbagliata perché il cucciolo svilupperà un carattere che non sappiamo, mentre di un gatto adulto – di uno-due anni – conosci già le caratteristiche e quindi lo puoi scegliere in base a come lo vuoi».

E se per combattere il randagismo sono fondamentali le sterilizzazioni, in realtà è almeno altrettanto importante l’interesse delle istituzioni: «Il problema del randagismo non riguarda gli animali selvatici, che siano gatti o cani. I randagi non sono gli animali selvatici, ma gli animali che sono buttati dall’essere umano. Due, tre, quattro, cinque cuccioli chiusi in una busta e buttati in un cassonetto non sono opera di mamma gatta, ma dell’essere umano che non ha coscienza: e chi non ha coscienza per gli animali, non ne ha neanche per le persone. Il randagismo si combatte quindi con un maggior controllo sulle persone: per quanto riguarda i cani obbligando a mettere i microchip; per i gatti, essendo oggi il randagismo un problema sociale, io farei la sterilizzazione obbligatoria. Poi, chi vuole continuare ad avere gatti che figliano per motivi di allevamento o altro, lo può fare, mettendosi in regola con la legge e pagando le tasse».

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