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Tumori: p53 ‘guardiano del genoma’, italiani lo fotografano in azione

Milano, 22 ago. (AdnKronos Salute) – Scienziati italiani del San Raffaele di Milano hanno fotografato per la prima volta ‘in azione’ la proteina p53, considerata il ‘guardiano del genoma’ perché ha il compito di intervenire quando il Dna di una cellula viene danneggiato. Lo studio, pubblicato su ‘Nature Communications’, è stato possibile grazie a una […]

Di Redazione |

Milano, 22 ago. (AdnKronos Salute) – Scienziati italiani del San Raffaele di Milano hanno fotografato per la prima volta ‘in azione’ la proteina p53, considerata il ‘guardiano del genoma’ perché ha il compito di intervenire quando il Dna di una cellula viene danneggiato. Lo studio, pubblicato su ‘Nature Communications’, è stato possibile grazie a una tecnica di microscopia innovativa messa a punto da Davide Mazza, fisico del Centro di imaging sperimentale (Cis) dell’Irccs del gruppo ospedaliero San Donato e membro del Centro europeo di nanomedicina, in collaborazione con Carlo Tacchetti, docente all’università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Cis. Il risultato apre la strada allo sviluppo di nuove strategie anticancro basate sull’attivazione di p53.

Ogni volta che il Dna di una cellula viene danneggiato – spiegano gli esperti di via Olgettina – la proteina p53 entra in gioco per prendere una decisione cruciale: avviare il processo di correzione degli errori del genoma, oppure innescare l’autodistruzione. L’obiettivo è lo stesso: evitare che la cellula, accumulando mutazioni nel corso delle generazioni, diventi tumorale.

I ricercatori del San Raffaele sono riusciti a osservare in tempo reale la dinamica di p53 nel nucleo cellulare. Scoprendo che, per il successo della sua azione, non basta che la proteina sia sana (senza mutazioni) e presente in abbondanza, ma è anche necessario che venga attivata da altre proteine. Solo dopo l’intervento di queste ‘colleghe’, p53 è in grado di legarsi al Dna per un tempo sufficiente ad avviare uno dei due processi antitumorali: riparazione o morte.

Le cellule umane possono subire vari tipi di stress in grado di danneggiarne il Dna, ricordano gli autori. Se il danno è limitato, la cellula cerca di porvi rimedio attraverso una serie di ‘macchine molecolari’ che ripristinano la corretta sequenza di informazioni del genoma. Se al contrario il danno è troppo grande per poter essere corretto in sicurezza, la cellula opta per il ‘suicidio’ (apoptosi, o morte programmata). Entrambi i processi avvengono sotto la regia della proteina p53, ribattezzata per questo guardiano del genoma. Ciò spiega perché più del 70% dei tumori presenta una mutazione nel gene p53 che la codifica: il 70% delle neoplasie, per riuscire a sopravvivere, deve avere una versione difettosa di p53. Ma che cosa accade nel restante 30%? Perché in questi casi p53, pur non essendo mutata, non riesce a svolgere il suo compito con successo?

Per capirlo gli scienziati hanno usato una tecnica di microscopia che permette di seguire la dinamica di singole molecole all’interno di cellule vive. La metodica è stata sviluppata al San Raffaele grazie all’incontro tra Mazza, giovane fisico che ha messo a punto l’apparecchiatura durante un post-doc negli Stati Uniti, e il direttore del Cis, Tacchetti, che ha fornito le competenze biologiche e sperimentali. “Grazie a questo strumento – afferma Mazza – abbiamo scoperto che l’attivazione di p53 da parte di altre proteine presenti nella cellula è fondamentale: solo se attivata p53 è in grado di associarsi al Dna abbastanza a lungo da avviare i processi per cui è programmata e grazie ai quali i tumori hanno vita tanto difficile. E’ come se avesse bisogno che altre proteine accendano per lei un timer d’azione”.

La scoperta è ritenuta particolarmente importante appunto per i tumori che non presentano una versione mutata di p53. Per esempio il neuroblastoma, un cancro del cervello che colpisce soprattutto i bambini. In questi casi il guardiano del genoma potrebbe fallire proprio a causa di una falla nel meccanismo di attivazione scoperto dai ricercatori del San Raffaele. “La scoperta, oltre a essere rilevante nel campo dei tumori e ad aprire la strada a nuove ipotesi terapeutiche – commenta Tacchetti – suggerisce un nuovo modello di funzionamento per i fattori di trascrizione di cui p53 è un esempio, ovvero per tutte quelle proteine che regolano l’espressione di altri geni e quindi sono responsabili dell’avvio di processi cellulari complessi”.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA