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Malattie rare: esperti, 4 priorità per migliorare vita pazienti emofilici

Roma, 7 dic. (AdnKronos Salute) – Offrire informazioni, diagnosi e assistenza specialistica adeguata alle persone con emofilia e alle loro famiglie; promuovere attività di ricerca; garantire percorsi personalizzati di assistenza sanitaria e assicurare l’integrazione fra assistenza clinica e sociale. Sono le quattro priorità individuate dal progetto ‘EmoAzione: 2017-2020’, presentato oggi al ministero della Salute a […]

Di Redazione |

Roma, 7 dic. (AdnKronos Salute) – Offrire informazioni, diagnosi e assistenza specialistica adeguata alle persone con emofilia e alle loro famiglie; promuovere attività di ricerca; garantire percorsi personalizzati di assistenza sanitaria e assicurare l’integrazione fra assistenza clinica e sociale. Sono le quattro priorità individuate dal progetto ‘EmoAzione: 2017-2020’, presentato oggi al ministero della Salute a Roma, dove un Board multidisciplinare di esperti ha illustrato la ‘Carta delle EmoAzioni’, che identifica 4 bisogni e 4 possibili soluzioni per la gestione di questa malattia rara ereditaria di tipo emorragico, che interessa circa 5 mila persone in Italia. La ‘Carta’ assegna delle priorità di intervento e, per ciascuna di esse, un programma di azioni concrete da mettere in campo.

Il progetto è promosso dalla Federazione delle associazioni emofilici (Fedemo), in collaborazione con Fondazione Paracelso Onlus, Associazione italiana dei centri emofilia (Aice), Istituto superiore di sanità, Fondazione Charta e con il contributo incondizionato di Roche, ed è stato avviato “dopo quatto incontri tra istituzioni, pazienti, esperti e rappresentanti del mondo accademico e clinico – spiega all’AdnKronos Salute Cristina Cassone, presidente Fedemo – Nell’arco di tre anni ci auguriamo di portare dei risultati concreti”.

“Divulgare la conoscenza della malattia nei medici di base e mantenere in forza gli specialisti in emofilia, possibilmente creandone dei nuovi è uno dei nostri obiettivi – aggiunge – Abbiamo anche evidenziato la necessità di implementare il Registro nazionale coagulopatie congenite, e ribadito la necessità di fare della programmazione, utile per utilizzare al meglio le risorse disponibili e allo stesso tempo creare dei percorsi personalizzati, sia per l’assistenza sia per l’integrazione sociale del paziente emofilico”. Il progetto vedrà la sua prosecuzione nel 2018 attraverso lo sviluppo di un’attività di monitoraggio e valutazione degli avanzamenti rispetto al percorso tracciato. Successivamente verranno identificate nuove azioni prioritarie per il successivo biennio, 2019-2020.

L’emofilia, inoltre, oltre a essere fonte di difficoltà di integrazione e assistenza sociali, richiede anche ingenti risorse al sistema sanitario, in termini organizzativi e di costi, che sono “variabili a seconda della modalità del trattamento – osserva Lorenzo Giovanni Mantovani, Università degli Studi di Milano Bicocca, comitato scientifico Fedemo – Il cosiddetto trattamento ‘a domanda’ o ‘al bisogno,’ per fermare una emorragia che è in corso, comporta un costo medio mensile per il paziente intorno ai 4-5 mila euro. Parliamo del trattamento storico, quello che ha permesso ai pazienti di raggiungere una speranza di vita assimilabile a quella della popolazione generale”.

“Da una quindicina di anni si effettua, soprattutto nei bambini, il trattamento di profilassi dei sanguinamenti – precisa Mantovani – Questo ha comportato che le nuove generazioni di emofilici abbiano una qualità di vita sostanzialmente simile a quella della popolazione generale. Ovviamente questo ha un costo – puntualizza l’esperto – Da 5 mila euro al mese si passa intorno ai 16-18 mila, che è anche il costo della terapia a domanda nei pazienti emofilici che hanno sviluppato inibitore al fattore di coagulazione, che è la complicanza principale attuale del trattamento”.

“Se poi questi pazienti devono essere trattati in profilassi, perché hanno frequenti sanguinamenti – prosegue – si arriva fino a 60 mila euro al mese. Tuttavia, con 60 mila euro di investimento mediamente per un anno e mezzo, il trattamento di immunotolleranza permette circa nell’85% dei casi di eradicare questi inibitori, tornando così ai 18 mila euro al mese. Questo – evidenzia – significa che, per quanto estremamente costosa, questa terapia di immunotolleranza si paga da sé, nel senso che consente nel medio termine dei risparmi tali da essere un investimento conveniente”.

Ma quali sono le prospettive future per la cura dell’emofilia? “Progressivamente ci avviamo verso il cosidetto ‘sanguinamento zero’, ci aspettiamo, cioè, che questi pazienti non sanguinino più, non abbiano più la tendenza all’alto numero di emorragie che in effetti caratterizzava la loro quotidianità prima che si iniziasse la profilassi – osserva Giovanni Di Minno, Università Federico II di Napoli, presidente Aice (Associazione italiana centri emofilia) – Questo richiederà nuove preparazioni, nuove sfide per i medici, per le famiglie, per il Ssn”.

“Oggi – continua – la ricerca nel settore non riguarda più solo la terapia sostitutiva, nella quale si somministra al paziente la sostanza della quale è carente, ma si comincia a parlare di nuove terapie, che evitano i problemi, come la formazione di inibitori, legati alla somministrazione in cronico del prodotto carente, attivando vie alternative di coagulazione del sangue”.

“Trovare risposte terapeutiche innovative nella gestione del paziente emofilico, soprattutto dove sussistono significativi unmet need, come nel caso dei pazienti con inibitori, è per noi elemento cruciale – commenta Anna Maria Porrini, Medical Affaris & Clinical Operations Director di Roche Italia – Ma il nostro impegno non si ferma qui. Abbiamo deciso di sostenere il progetto ‘EmoAzione’ per proporci come partner al fianco della comunità dell’emofilia e delle Istituzioni, con l’obiettivo di individuare indirizzi e linee di impegno comune da cui far scaturire programmi e interventi concreti per le persone con emofilia”, conclude.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA